domenica 3 giugno 2012
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Ci voleva. Per il Papa l’ora e mezza con gli 80mila cresimati della diocesi di Milano e con i loro educatori ieri mattina dev’essere stata come un sorso d’acqua fresca in una giornata d’arsura. Un sollievo, una carezza, il segno inequivocabile di un affetto che non conosce riserve. Niente di più evidente e diretto, persino eclatante nelle sue dimensioni. Era difficile inventarsi un modo migliore per mostrargli proprio ora tutto l’affetto immediato e profondo che la gente gli porta, e che in questi giorni sta traboccando nelle strade di Milano. L’amore della Chiesa, di parrocchie e famiglie strette in un saldo patto educativo e afferrate alla paternità del Papa, travolge ogni sottigliezza e distinguo quando trova il modo per dirsi a tu per tu. Bisognava vedere Pietro, e lasciare che il cuore facesse il resto per dar voce a quel che preme dentro.E per dirlo così bene ci volevano proprio i ragazzi, non più ingenuamente bambini ma ancora allergici alle malizie dei grandi, uno sguardo limpido che d’istinto cerca il Maestro. Esattamente come nel Vangelo: lasciateli andare a lui, sanno come fare a dirgli quello che anche noi vorremmo ma che solo mescolandoci al loro linguaggio spontaneo riusciamo a esprimere. Non a caso, sciamando poi fuori dallo stadio al termine di una memorabile mattinata, i più felici parevano proprio i genitori, le catechiste e i catechisti.E se è anche prevedibile l’entusiasmo dei giovanissimi per un evento che è sempre unico nella vita – il tradizionale raduno di massa che la diocesi di Milano organizza al termine dell’anno nel quale sono passati all’età adulta nella Chiesa –, tutt’altra cosa è sentirlo materializzarsi ben oltre il semplice clima di una bella giornata di festa, pur eccezionalmente solennizzata dalla presenza del Papa. Allo stadio c’era qualcosa di completamente diverso, il soffio di sentimenti che vibrano all’unisono, l’attesa di poter dire qualcosa tutti insieme, e farlo nel modo più chiaramente udibile. Quella che abbiamo visto materializzarsi ieri nel vertiginoso catino di San Siro avvezzo a boati e applausi e trasformato in un immenso oratorio, con centinaia di commoventi e preparatissimi animatori all’opera, è un’ondata di piena scesa dagli spalti e arrivata a circondare dolcemente quell’uomo all’apparenza così fragile che però è la pietra su cui è fondata la casa della nostra fede. Noi ci contiamo: sta salda, e così sappiamo di non avere nulla da temere. E a San Siro era come se tutti sentissero all’improvviso indispensabile, urgente dirgli "da chi andremo?". Siamo con te – gli hanno cantato e gridato – senza discussioni né ombre, ambiguità o esitazioni. Lui ha sorriso, ha improvvisato, allargando non di poco il discorso scritto, come per colorirlo dei sentimenti che trasparivano dallo sguardo luminoso. Nella parola ferma e serena, nella sua semplice presenza che assicura la continuità certa di una storia di fede e di vita buona che passa da una generazione all’altra, tutti hanno colto che abbiamo la garanzia di poterla spuntare nella sfida con chi dispone di megafoni potenti e pervasivi. Senza questa fiducia in Dio e nella persona umana, senza il sostegno di questo Padre come si può crescere bene i ragazzi, promesse di adulti? Come si può affrontare gli architetti di una società che li vorrebbe persi nella nebbia del tutto-è-uguale, che manipola e piega i valori, che non distingue tra scelte di vita invece oggettivamente diverse, che trucca parole e concetti? Lontano da qui, senza la voce serena e forte della Chiesa, senza la voce di Pietro, chi ci sta davvero accanto? Chi assicura parole non di latta come le troppe che ci piovono addosso non richieste? E ancora, da chi possiamo attenderci princìpi fermi, esempi limpidi? E chi non cessa di dare luce e non vana speranza ai nostri ragazzi e ai sacerdoti, alle religiose, agli educatori, alle catechiste che si stanno prodigando per loro? Dove la trovo, in giro, gente di una simile sostanza umana, capace di dar vita a una giornata così densa, ricca, consolante, vera come quella di ieri? Fuori da questa Chiesa che splende nel mattino di un sabato di giugno ci sentiremmo soli. E il nostro Papa, che ci saluta dal prato di uno stadio colmo di luce e di cori di gioia, ce lo teniamo stretto. Guai a chi ce lo tocca.
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