venerdì 24 aprile 2015
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Grazie, Giancarlo. Grazie, grazie, grazie. Mentre, poco a poco, raccoglievamo brandelli di notizie sulla morte nascosta, violenta e atroce di Giovanni Lo Porto – Giancarlo, per quelli che lo conoscevano e gli volevano bene –, mentre dagli Usa e dall’Italia fioccavano dichiarazioni pensose o veementi sulla tragica, fallimentare conclusione "dronica" del rapimento qaedista di questo cooperante italiano per nascita, pakistano per scelta, cittadino del mondo per vocazione, non siamo riusciti a pensare che questo: un grazie pieno di dolore, di convinzione e di luce.Giancarlo era uno di quelli, senza grande potere, ma generosi e colti, capaci e buoni, che ogni giorno in pezzi difficili di mondo fanno tenacemente la cosa giusta per costruire un altro mondo. Era uno di quelli che fanno "dal basso", senza tante storie, con senso della storia e della giustizia, ciò che troppi politici dei Paesi più ricchi e in pace (ma non con la propria coscienza) e troppi governanti dei Paesi più poveri e in guerra (anche con la propria gente) sanno benissimo di dover fare eppure mai si decidono a fare. E ieri sera, a Bruxelles, tra i Ventotto, abbiamo avuto l’ennesima prova che si sono incrinati appena dure miopie e grevi egoismi. Giancarlo, invece, era uno di quelli che lavorano sul serio per smontare le fabbriche della disperazione, per fermare le catene di montaggio degli sradicamenti e delle fughe di milioni di uomini e di donne dalle proprie patrie, per interrompere i "rifornimenti umani" alle fabbriche della morte (e della xenofobia) che i malpensanti e malcomizianti di mezzo mondo chiamano, con disgusto, i «flussi migratori clandestini».Ecco. In questo giorno di lutto e di domande inquietanti che reclamano risposta (perché l’«errore»? perché tre mesi di silenzio Usa?), in queste ore di tardive scuse, di emozionate condoglianze, di indignazioni impazienti, di inevitabili angosce e di trattenute grida, sarebbe importante riuscire a sentire e capire tutti insieme, da Barack Obama e Matteo Renzi a ogni cittadino semplice di qualunque Paese e soprattutto del nostro, che il mondo reale e giusto è quello di Giancarlo e non quello dei jihadisti sanguinari e ciechi e dei droni letali e, spesso, altrettanto ciechi. Serve capirlo, dirlo e ripeterlo proprio oggi, in cui il trionfo della logica della guerra appare totale. Proprio oggi che rivela la sua potenza ammazzagiusti l’ultima versione di una tenaglia antica e feroce: la lama elementare e spietata del fondamentalismo religioso e politico islamico e la spada tecnologica e inflessibile della reazione occidentale.Proprio così: bisogna saper vedere e riconoscere – e, con questa consapevolezza, decidere di essere conseguenti – che il mondo reale e giusto è quello di Giancarlo, e dei suoi fratelli, e delle sue sorelle.È il mondo di "quelli che cooperano" alla dignità degli uomini e delle donne, ovunque siano nati, e soprattutto se sono nati nella parte sbagliata di una Terra che è diseguale solo perché gli esseri umani la rendono tale. È il mondo di "quelli che cooperano" allo sviluppo integrale dell’umanità, e che non è reso meno reale e meno giusto neppure dai vermi che – come nella Roma di "mafia capitale" – provano a divorarne il cuore. È il mondo dei giusti, che i fanatici di ogni risma (e gli sciocchi che s’intruppano nel campo d’odio che quei fanatici a tutti vogliono riuscire a imporre), non intendono veder crescere e che combattono, intimidendo, sequestrando, uccidendo.E il mondo dei giusti non è il mondo dei droni, di questi droni. Perché non basterà mai «bombardare» per «fermare» davvero il male, e per sanarlo. Chi non avesse ancora capito questa parola di papa Francesco, ora può forse comprenderne meglio la verità e la profondità.Grazie. Grazie a Giancarlo-Giovanni Lo Porto. Per la vita che ha accompagnato e reso migliore, e per la vita che ha dato. Grazie, persino per la sua morte sbagliata. Grazie, perché, comunque la pensasse, è stato un uomo che "respirava cristiano" e che ha insegnato a uomini come lui a respirare liberamente e degnamente. C’è da sperare che nella sua Palermo, e non solo, gli intestino presto una scuola, non solo una via. Meglio un luogo dove s’impara il domani.
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