Gorizia, via dal «girone dei disperati»: l'impegno del sindaco, la giusta attesa
mercoledì 22 novembre 2017

Gentile direttore, innanzi tutto la ringrazio per l’efficace approfondimento dedicato dal suo quotidiano alle politiche migratorie applicate al territorio isontino e goriziano in particolare. Ovviamente non posso condividere valutazioni espresse da alcuni degli intervistati, ma apprezzo lo sforzo di obiettività assicurato dalla giornalista Lucia Bellaspiga.

Vorrei che fossero chiari ai lettori soprattutto tre elementi: che la competenza in tema di ospitalità dei richiedenti asilo non compete ai Comuni bensì al governo nazionale (il quale interviene attraverso le Prefetture), che Gorizia è una delle città italiane più ospitali, e che i richiedenti asilo presenti sul territorio di Gorizia e del Friuli Venezia Giulia sono radicalmente diversi da quelli presenti nel resto del Paese, trattandosi di pachistani, ovvero di persone provenienti da due, tre o anche quattro anni di permanenza negli altri Paesi europei, che non hanno concesso loro lo status di rifugiato non essendo il Pakistan in guerra né avvenendovi persecuzioni di sorta. Finalmente, anche in seguito alla vostra inchiesta, dopo le nostre pressanti richieste la Prefettura si sta muovendo per risolvere il problema della “Galleria Bombi”, diventata da mesi il rifugio di tutti quei migranti che arrivano a Gorizia e che non riescono a trovare un posto nelle strutture di accoglienza già sature da tempo. Un centinaio di richiedenti sono stati infatti trasferiti nei giorni scorsi in centri attrezzati di altre Regioni e così dovrebbe avvenire a breve anche per gli altri.

Non solo: ci è stato comunicato dal commissario di governo l’avvio di un approfondimento sulle dinamiche del flusso continuo di migranti che arrivano a Gorizia dal resto d’Europa, prevalentemente attraverso il Brennero, quasi che si sia formata un’altra rotta di cui ben poco si sa. Inoltre è stato ufficializzato che la Commissione per la valutazione delle richieste di rifugio politico sarà trasferita a Trieste e nel frattempo sarà aperta una sezione a Udine. Il fatto che si stia imboccando questa strada risolve il problema dell’emergenza, ma naturalmente non affronta la questione alla base.

Gorizia si è trovata ingiustamente accusata di non essere ospitale: ebbene, la città, che ha meno di 35mila abitanti, oggi ospita oltre 450 persone (di cui 350 in strutture convenzionate) fra richiedenti e minori. Tenendo presente che in Italia ci sono oltre 8mila Comuni, e che solo 2mila di questi accolgono migranti, mi sembra che Gorizia stia facendo, in termini di solidarietà, assai più della maggior parte delle altre realtà italiane. Chi transita per il piccolo centro storico ha la netta impressione che la maggioranza degli abitanti siano profughi, perché sono davvero numerosi e durante il giorno frequentano tranquillamente bar e negozi, senza alcun episodio di razzismo. A Gorizia arrivano ogni giorno decine di migranti e io sono stato addirittura minacciato di morte perché mi sono dichiarato contrario all’apertura di nuovi centri d’accoglienza, visto che, come dicevo, quelli esistenti ne accolgono già 450. Oggi dico “per fortuna che abbiamo tenuto duro”, perché altrimenti in “Galleria Bombi” non avremmo avuto 100 persone ma 500 o 600, che invece grazie alle nostre pressioni su Governo e Prefettura sono trasferite in strutture reali. E così pure se avessi messo in galleria bagni chimici e docce, legittimando di fatto là dentro un dormitorio per migranti.

Insomma, è più disumano continuare a far dormire le persone al freddo in un tunnel o farle trasferire in una struttura dignitosa, distribuendoli su territori meno “carichi”? Da sempre sostengo che faremo la nostra parte per quanto riguarda l’accoglienza, ma sicuramente non nelle attuali condizioni. Con cordialità e stima.

Rodolfo Ziberna Sindaco di Gorizia


Mi risulta che lei, gentile sindaco Ziberna, si sta dando seriamente da fare per risolvere l’increscioso caso della “Galleria Bombi”, il «girone dei disperati» raccontato in modo indimenticabile dal vivido reportage da Gorizia di Lucia Bellaspiga che abbiamo pubblicato domenica 12 novembre 2017. E so anche che molto probabilmente questi ultimi dieci giorni non sono trascorsi invano. Vedremo se davvero sarà definitivamente curata la scandalosa ferita rappresentata dalla condizione di vita degli esseri umani costretti a rifugiarsi in un gelido tunnel piazzato nel cuore stesso di una città di confine, anzi che è essa stessa confine – e oggi, grazie a Dio e agli uomini di buona volontà sa esserlo anche e soprattutto nel senso a noi caro, di luogo del collegamento, del raccordo, dell’incontro. Vedremo, sì.

E intanto speriamo fortemente che si diffonda il civile antidoto all’isolamento e al respingimento a prescindere, cioè la buona prassi di un’accoglienza a misura d’uomo e di donna, fatta a piccoli gruppi, condivisa da tutti (o quasi) i Comuni d’Italia. Gorizia – come altri luoghi urbani, più generosi o più facilmente raggiungibili o entrambe le cose... – ha presenze di richiedenti asilo superiori alla media perché in altre città e altre cittadine si è girata la testa dall’altra parte e si sono chiuse le porte in faccia a persone povere di tutto e in grave, gravissima difficoltà.

Quello che non si dovrebbe fare mai: nessuna mancanza di requisiti “umanitari” (per ottenere lo status di rifugiati) giustifica mancanze di umanità. Ecco perché c’è chi si fa in quattro per supplire a iniziali esitazioni, impreparazioni, sottovalutazioni tanto quanto a emergenti, o radicate, repulsioni. La Chiesa lo fa, per fedeltà al Vangelo di Cristo. Altri lo fanno, con intenzioni altrettanto buone e pure. Qualcuno forse no. Per questo anche noi non ci stanchiamo di ripetere con papa Francesco e con il padre della Chiesa goriziana, l’arcivescovo Carlo Redaelli, che non parlano solo ma danno l’esempio, che il bene va fatto bene, in modo sempre trasparente. E ciò significa, prima di tutto, che va fatto quando è giusto, urgente e necessario intervenire.

Insomma, gentile signor sindaco, l’importante è che il gran “passo avanti” che pure lei immagina e propone – un Piano Marshall per i Paesi in via di sviluppo – non diventi mai una sorta di alibi per non agire, qui e ora, per servire il bene della vita umana in qualunque condizione essa si trovi o sia stata ridotta. Non è questa, ne sono certo, la sua intenzione. E dunque: buoni passi avanti! Ricambio stima e cordiale saluto.

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