mercoledì 20 aprile 2016
COMMENTA E CONDIVIDI
Gentile direttore,scrivo in occasione della visita lampo del Santo Padre nell’isola greca di Lesbo, dove ha toccato con mano la situazione disperata degli immigrati ascoltando attentamente i loro pianti e le loro storie insieme al patriarca Bartolomeo e all’arcivescovo ortodosso di Atene Ieronymos. Il Papa ha ribadito nuovamente che l’Unione Europea non può restare indifferente facendo finta di niente. Parole già scandite tre anni fa, quando si era recato nell’isola di Lampedusa, punto d’arrivo degli immigrati. Anche in quell’occasione aveva gettato in mare una corona di fiori in ricordo delle vittime morte in mare e aveva invitato tutti i responsabili, anche quelli che sembrano non voler ascoltare, a non essere indifferenti a questo problema perché questa gente che proviene da ogni parte del mondo e non soltanto dall’Africa emigra per tanti motivi che non sono solo di natura economica o sociale, ma si chiamano guerre e dittature. Per questi motivi, con dispiacere, uomini, donne e bambini soprattutto giovani lasciano la loro terra d’origine per venire non solo in Europa, ma anche in America e in Australia per cercare di trovare una sicurezza e un tenore di vita che possa consentire loro un’esistenza libera ma soprattutto dignitosa. E l’indifferenza di tanti in Italia e in altri Paesi è profondamente sbagliata, in sé e alla luce della nostra stessa storia di europei e, a nostra volta, di migranti. Santa Francesca Cabrini (nata nel 1850 e morta nel 1917, beatificata nel 1938 e canonizzata nel 1946 da Pio XII), che aiutò molti italiani che emigravano in America, in un suo diario personale scriveva: «Oggi più che mai è tempo che l’amore non resti nascosto ma diventi operoso, vivo e vero». Proprio così: questa frase «oggi più che mai» va attuata, con giusto soccorso, giusti controlli, giusta convivenza. Certo, un’accoglienza che vada bene a tutti non è facile da realizzare, ma non è impossibile. Perché niente è impossibile davanti a Dio. Il papa emerito Benedetto XVI durante il suo viaggio apostolico a Malta, accolto dall’allora arcivescovo de La Valletta Paul Cremona, ci ricordò che un vero cristiano deve sapere accogliere anziché rifiutare e respingere. E a me tornano sempre in mente le parole di Gesù sull’accoglienza e sul rispetto per chiunque fatte risuonare dagli evangelisti Matteo e Marco: «Chi accoglie uno di questi piccoli fratelli nel mio nome, in verità io vi dico che accoglie me». La visita di papa Francesco a Lesbo è stata un grande segnale per gli immigrati e per noi tutti. E il suo ritorno in Italia con dodici profughi siriani ci ha detto con chiarezza che certe barriere devono sparire per rendere sempre più vivibile per tutti questa terra ancora segnata dall’ingiustizia. Marco Giraldi, PratoLa visita di papa Francesco a Lesbo, fianco a fianco con il patriarca Bartolomeo e con l’arcivescovo Ieronymos, ha lasciato il segno. Proprio come ognuna delle sue parole, come ognuno dei suoi gesti. E così è stato per i suoi incontri con i profughi rinchiusi nel campo-prigione di Mòria. Persone e storie che è riuscito a farci “vedere” con straordinaria e benefica nitidezza: abbiamo toccato con mano il dolore, la fatica, l’attesa, la disperazione, ma anche la speranza. Lei, caro amico, lo fa capire in modo semplice e partecipe con questa sua lettera. Credo che con lei tanti in Italia, in Europa e nel mondo abbiano provato lo stesso sentimento di adesione morale al messaggio del Papa e, magari, abbiano sentito un po’ di disagio per il rischio di essere risucchiati in quel vortice di indifferenza (che fa chiudere gli occhi per non essere messi in crisi) e di sospetto (che fa vedere solo le ombre scure della realtà) che viene suscitato quasi ogni giorno dai terroristi jihadisti, ma almeno altrettanto dai loro “alleati” politici. E di fatto tali sono pure coloro che – in Italia, in Europa e anche in America – si segnalano per la loro aspra intolleranza xenofoba. Quelli, gli scherani del Daesh, perseguitano e sgozzano i “diversi” e umiliano la loro stessa fede islamica, trasformandola in incubo. Questi, i politici anti-stranieri, mistificano e rendono questioni serie e complesse come la gestione dell’«urgenza umanitaria» dei profughi e del governo sociale ed economico delle migrazioni di altro tipo un rebus senza soluzione e dunque un conflitto insanabile. Due follie. La prima fa strage di libertà e di vite. La seconda di verità. Entrambe proclamano l’impossibilità della convivenza, e dunque la guerra. L’esatto contrario della via di pace nella giustizia che il Papa, nel nome di Dio, con l’esempio, dimostra essere invece cammino praticabile e condivisibile. L’infondata, irosa, ripetuta e falsamente cortese polemica condotta soprattutto dal segretario leghista Salvini contro il Santo Padre “colpevole” di essere andato a Lesbo e la caricatura odiosa che da qualche giorno continua a fare delle sue parole e dei suoi gesti sono una desolante dimostrazione di fino a che punto può spingere il cinismo da cacciatori di voti e – anche in chi si dice cristiano – l’ignoranza del Vangelo. A tutte e due le cose c’è però rimedio. Il primo passo è forse il più difficile: smetterla. Il resto viene quasi da sé. Marco Tarquinio
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI