Giovani e formazione, nulla può sostituire l’azione della famiglia
mercoledì 21 novembre 2018

Una delle preoccupazioni più sentite nelle famiglie, per i genitori, è come sempre quella della formazione e crescita dei figli, in vista della acquisizione del sapere, della loro capacità di inserirsi nella società, costruirsi un futuro. Ma le trasformazioni sociali più recenti hanno esteso i confini di questa preoccupazione, mutato i loro contenuti, anche se non mancano ragioni per guardare con qualche ottimismo alla realtà odierna: l’era della globalizzazione ha moltiplicato gli strumenti della conoscenza, le possibilità di incontri dei giovani di tutto il mondo, ha dilatato l’orizzonte dell’apprendimento.

Anche la normativa del secondo Novecento, con la Costituzione e le Carte dei diritti umani, sembra superare vecchi conflitti e contrapposizioni, e garantire in misura maggiore i diritti della famiglia e dei genitori nella educazione dei figli, e il rispetto delle convinzioni morali e religiose di ciascuno. Lo confermano due norme strategiche sui diritti umani: l’art. 26 della Dichiarazione Universale del 1948, per il quale «i genitori hanno diritto di priorità nella scelta di istruzione da impartire ai loro figli», e la Convenzione Europea del 1950 per la quale «lo Stato, nell’esercizio delle funzioni nella educazione e nell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche». Altre Convenzioni, come quella dei Diritti del fanciullo, e contro le discriminazioni delle donne, delineano la centralità del ruolo genitoriale e familiare nella formazione delle nuove generazioni, e sottolineano l’essenzialità della maternità e paternità per il futuro dei giovani.

L’applicazione di questi princìpi ha portato a trasformazioni e innovazioni che interessano quasi tutti i Paesi europei, facendo superare drammi e angustie della modernità. Nell’ampia area dell’est Europeo s’è reintrodotto l’insegnamento religioso, a cominciare dalla Russia, Polonia, Romania, Croazia, con una nuova legittimazione del pluralismo scolastico. Dopo l’opera di desertificazione attuata dai rispettivi regimi, lo Stato ha avvertito il bisogno di un orizzonte etico che rafforzi la società, e considera oggi le Confessioni tra i soggetti più idonei a diffondere una scala di valori necessaria alla coesione sociale. Anche nel resto d’Europa, l’istruzione religiosa ha visto ribadito il fondamento costituzionale, basato sul principio di volontarietà e libertà religiosa, attraverso Concordati, Intese o il diritto comune.

Tra gli esiti di questo rinnovamento si segnala il consenso sociale ch’esso ha ottenuto, ad esempio in Italia, dove le più recenti statistiche confermano che l’insegnamento religioso viene scelto liberamente dall’80% delle famiglie e dei ragazzi delle scuole di ogni livello. Tuttavia, a fronte di questi traguardi, si registra attualmente una inquietudine che investe il cuore stesso del processo educativo e formativo delle nuove generazioni, e riguarda da un lato il nodo dei rapporti tra scuola e famiglia sottoposti a crescenti tensioni o tentativi di dissolvimento, dall’altro una più sottile sfida culturale che tenta di impoverire il processo di formazione della persona in alcuni suoi elementi essenziali. Già in passato i diritti della famiglia sono stati calpestati, insidiati, da opposti totalitarismi che hanno tentato di cancellare la religione dall’orizzonte educativo dei giovani, piegare la religione a visioni statolatriche.

Oggi, invece l’alleanza tra scuola e famiglia è posta a rischio attraverso il lento radicarsi di una sorta di pensiero unico che vuole erodere le radici dei più elementari princìpi etici, dei diritti dei genitori e della famiglia, incrinare quella cornice di diritto naturale che costituisce il nucleo più intimo dell’umanesimo classico e cristiano. Si verifica così un paradosso che si va sviluppando sotto i nostri occhi. Mentre la globalizzazione offre una crescente molteplicità di strumenti formativi, a livello tecnologico e mediale, in realtà si prospetta il rischio che si incrini proprio quell’asse tra famiglia e scuola che dovrebbe costituire l’asse portante d’ogni progetto educativo. Un relativismo sempre più invasivo spinge a un negazionismo etico che impoverisce la persona, mentre la dimensione familiare è mortificata in tanti modi da leggi e regolamenti che cercano di relativizzarla e marginalizzarla.

Una famiglia ridotta a un ruolo sociale residuale rischia d’essere ancor più marginalizzata in ambito scolastico, dove trovano spazio crescente soggetti e agenzie estranee, prive d’ogni idoneità e qualità, che pretendono di sostituirsi ai genitori per influire e influenzare i passaggi più delicati dell’educazione e la formazione dei giovani, in contrasto con il quadro normativo delineato dalle Carte dei diritti umani. Papa Francesco ricorda spesso che i giovani non devono essere lasciati soli nelle fasi di crescita e formazione, ma vanno ascoltati e resi protagonisti, per divenire storia assieme alla storia che si evolve attorno a loro.

Ed è anche questo il punto di riflessione al centro del Convegno di Milano su 'Scuola, religione e nuove generazioni', che si svolge questa mattina presso la Biblioteca Ambrosiana, in collaborazione tra l’Università di Brescia e la Diocesi di Milano, per tracciare un primo bilancio storicogiuridico e promuovere un progetto di integrazione e accoglienza scolastica che abbatta muri e difficoltà nuove che s’incontrano nella realtà odierna. Il Convegno – cui partecipano Lorenza Violini, Chiara Minelli, l’arcivescovo Mario Delpini e chi scrive – è anche occasione d’incontro tra studenti e docenti, protagonisti dell’insegnamento religioso nella scuola pubblica, per una riflessione sui suoi contenuti, sulle prospettive di un rinnovamento adeguato al pluralismo religioso che nei tempi più recenti va caratterizzando la società italiana.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: