Giovane o vecchia che sia, ogni vita e ogni morte vale ugualmente
mercoledì 12 luglio 2017

Caro direttore,
è morto Tizio, ma aveva la bella età di novant’anni. È finito Caio, ma non può proprio lamentarsi: aveva oltrepassato gli ottanta. A me queste cronache del cordoglio consolato danno irritazione perché incasellano la morte per categorie. La morte, invece, o la si accetta sempre, come un approdo, o la si avversa, come un naufragio, a prescindere dall’età di chi ci lascia. Questo voler dare scarso peso specifico alla morte di un anziano sa tanto di eliminazione da un ingombro. Che era ora... Certo, la fine prematura di un giovane offre il destro a tutta una serie di angosciose riflessioni che pongono, a volte, addirittura in discussione la fede; che minano, con interrogativi sconvolgenti, anche le radici più granitiche dell’essere cattolici. Ma il valore della vita non ha certamente età né i residui giorni di un anziano hanno meno luci e meno voci dei tanti che un giovane ha dinnanzi a sé. Anzi, nei frammenti residui della vita di un vecchio si proiettano, concentrati, le densità e gli spessori di una vita compiuta, ma non ancora finita. Un vecchio patisce e gioisce, sia pure dietro le 'lenti da riposo', come un giovane, forse più di un giovane perché con meno forza e più fretta, la fretta asmatica degli ultimi giorni. Un anziano soprattutto testimonia per il passato il presente e il futuro, lasciando ai giovani la capacità di raccoglierne il segno. Non dimentichiamo che noi siamo ciò che siamo stati. Quindi se si muore a novant’anni in fondo va via non una sola vita, ma più di una vita, e con essa più squarci di luce e di tenebre, più suoni di voci e di silenzi, più pesi di sforzi e di lievità, più consistenza di spirito e più futilità di materia. È morto, ma aveva novant’anni. Ah, quel 'ma' così spietato, così ingiusto, così eliminante! Perché anche lui, come un giovane che muore, aveva diritto di cittadinanza. E anche lui, come un giovane, può dire con Rabelais: «Vado a cercare un gran forse».

Edgardo Grillo

C’è molto di giusto, caro amico, in ciò che scrive. Ma io credo e spero che, quel giorno, andremo a incontrare finalmente la 'gran luce' che tutto fa più chiaro. «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.» (1Cor 13,12). Ogni vita vale, e ogni morte. Continueremo sempre a inventarci 'categorie' nelle quali inscatolare gli esseri umani, e anch’io non mi stancherò mai di ripetere che l’unica cosa sensata da fare è romperle.

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