martedì 14 gennaio 2014
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È una svolta «laica» pilotata. La domanda, riposta nelle urne del Cairo, è se davvero l’Egitto – Paese simbolo del mondo arabo – saprà dare forma, istituzioni e consenso al nuovo corso impersonato dal generale al-Sisi, dopo aver deposto il luglio scorso il presidente dei Fratelli Musulmani Mohammed Morsi e dichiarati fuori legge i partiti religiosi.Unità nazionale e laicità le parole d’ordine, ma con categorie arabo-islamiche. Così il nuovo testo costituzionale, elaborato dai 50 saggi guidati dall’ex segretario della Lega Araba Amr Moussa, indica ancora la sharia «come fonte principale di legislazione», ma nel preambolo si specifica di volere costruire «uno stato moderno democratico e civile», vale a dire «né religioso, né militare». Scompaiono alcune rigide interpretazioni del testo coranico e l’università di al-Azhar non ha più il ruolo di garante dell’ortodossia sunnita. Il riconoscimento per i cristiani della «libertà di praticare i loro riti religiosi» è, secondo la tradizione delle minoranze in terra islamica, un riconoscimento della libertà di culto ma non ancora di religione. Aperture anche al diritto di famiglia e al riconoscimento della parità tra uomini e donne, ma in un contesto culturale marcatamente islamico. Prevista pure, per la prima volta, una sorta di "impeachment" del presidente con voto di sfiducia dell’Assemblea. Molto più forte il ruolo riconosciuto dei militari a cui viene affidata una supervisione sui prossimi governi e una ratifica ufficiale della nomina del ministro della Difesa. È proprio la funzione dell’esercito, impostosi da giugno nuovamente come la spina dorsale del nuovo corso, ad essere il refrain di questa revisione costituzionale favorita non a caso dal capo delle forze armante al-Sisi, ora candidato presidenziale in pectore. Un referendum anche sulla sua persona quello in queste ore in Egitto, misurato sul dato dell’affluenza: l’astensione chiesta dai Fratelli Musulmani ma anche dei giovani liberali di piazza Tahrir del Movimento 6 aprile è la speranza del Paese che si riconosce nel fondamentalismo della Fratellanza o in disegni filo-occidentali di élite. L’affluenza, insomma, potrà misurare se la deposizione di Morsi lo scorso luglio è stato, nella percezione del profondo Egitto già deluso dal dopo-Mubarak, un golpe da combattere o un gesto di garanzia per continuare la strada impegnativa della ricostruzione cercando un nuovo, inedito e precario equilibrio fra sharia e laicità.
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