giovedì 1 gennaio 2015
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Caro direttore,
grazie per la compagnia costante di “Avvenire”, che ci aiuta a metterci in sintonia con il cammino della Chiesa e del mondo. Tra i tanti spunti offerti dagli ultimi numeri, vorrei soffermarmi su un’osservazione di Carlo Petrini all’interno della tavola rotonda sull’Expo 2015: la necessità di riscoprire la fraternità, “cenerentola” fra i valori della Rivoluzione francese (mentre si è tanto parlato di libertà e uguaglianza, facendo anche del male in loro nome). Effettivamente, tante crisi di oggi si possono collegare a un deficit di fraternità: sia a livello sociale (dove si affermano la competitività esasperata, lo sfruttamento delle persone e del pianeta, lo scarto) sia a livello dell’affettività: l’idea di una vita affettiva che si esprime al cento per cento nella fraternità, appare a molti come impossibile, in qualche modo addirittura terrorizzante. La fraternità invece è essenziale, perché è costitutivamente aperta alla Trascendenza, rimanda all’attesa di un Padre che amandoci ci dà la possibilità di essere fratelli; la fraternità guida la libertà e l’eguaglianza a riscoprire le loro radici evangeliche, e le salva dal pericolo di diventare idoli sanguinari che si eliminano a vicenda e legittimano il male per “difendere” se stessi (“sacrifichiamo la libertà per difendere l’uguaglianza”, “sacrifichiamo l’uguaglianza per difendere la libertà”, “uccidiamo per costruire il comunismo”, “uccidiamo per fermare il comunismo”: quante tragiche parole d’ordine del Novecento!). Nella crisi di Cuba in cui i “paladini della libertà” e i “paladini dell’uguaglianza” avevano portato il mondo sull’orlo della distruzione, fu proprio san Giovanni XXIII a farsi “paladino della fraternità”. E papa Francesco – nel cui magistero la parola “fraternità” riecheggia in modo costante – ne ha seguito fedelmente e tenacemente le orme, portando a frutto anche l’impegno dei suoi immediati predecessori, come i ringraziamenti di Barack Obama e Raúl Castro hanno rivelato al mondo. Bello che il nostro giornale abbia potuto riferire le osservazioni di Petrini e le notizie del rinnovato dialogo Usa-Cuba proprio negli stessi giorni.
Anna Maria Golfieri
Anch’io, cara signora Golfieri, sono felice della compagnia di lettori come lei (ne abbiamo tanti, tutti generosi e nessuno identico all’altro). E anch’io, nel tempo difficile e affascinante che ci tocca vivere trovo bello e consolante che uomini e donne uniti da uno sguardo credente o provenienti da cammini diversi (e persino da storie duramente contrapposte) comincino a “sentire” quasi all’unisono vuoti che pesano e valori che quei vuoti possono riempire. La nostalgia della fraternità così efficacemente richiamata e argomentata da Carlìn Petrini nel dialogo che lui, Luigino Bruni e Paolo Massobrio hanno sviluppato con la redazione di “Avvenire” (e che abbiamo pubblicato il 18 dicembre scorso) è uno di questi sentimenti preziosi, forse il più robusto e – checché ne pensi qualche facilone – il meno sdolcinato. La fraternità è infatti roba per persone dalle spalle grandi, dal cuore aperto e dalle idee chiare. È per gente che, magari, non si trova del tutto d’accordo sul Cielo che ci sovrasta tutti e su «l’Amor che move il sole e l’altre stelle», ma che si rende conto di non abitare per caso questo mondo e sa di avere un Padre e, ovviamente, una Madre e, dunque, di essere parte di un disegno d’amore che personalmente ci riguarda, e ci supera. La fraternità dà senso alla libertà (che altrimenti rischia l’irresponsabilità e a questa inclina nei rapporti con le persone, le creature e l’intero creato) e colora l’uguaglianza (salvandola dal grigiore mortificante dell’egualitarismo). La fraternità persino più dei calcoli – checché ne pensi qualche cinicone – muove la politica a passi giusti e inattesi, capaci di accorciare distanze, sanare fratture e, persino, capovolgere la guerra in pace. Come è accaduto, ha proprio ragione a sottolinearlo, tra l’America di Obama e la Cuba del secondo dei Castro grazie al “ponte” costruito da Francesco, un Papa che come il santo da cui ha preso il nome è padre e non cessa di essere (e di farsi) fratello. La sua lettera, cara e gentile amica, mi aiuta a trovare – al limitare del 2014 e guardando al 2015 – l’augurio a coloro che, come lei, seguono con intelligenza e fedeltà il nostro lavoro, a tutti i concittadini, a quanti portano alte responsabilità in ogni campo della vita sociale: che sia un anno di fraternità vera e vissuta.
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