Francesco ravviva l'eredità di una presenza di pace
venerdì 5 marzo 2021

Caro direttore,
per chi è abituato ad osservare le cose seguendo i limiti di un orizzonte razionale, questo viaggio in Oriente di papa Francesco non ha senso. L’Iraq è un territorio ancora minacciato dai residui della guerriglia del Daesh-Isis, la pandemia ha colpito la salute del popolo di quella regione e anche del nunzio a Baghdad. Sicurezza internazionale e salute sconsigliano la visita in Iraq. Invece, papa Francesco supera questa interpretazione ristretta della realtà, supera gli ostacoli per realizzare un’azione di più alto respiro e di maggiore ampiezza, realizza l’intenzione del suo santo predecessore Giovanni Paolo II, che avrebbe desiderato fare un pellegrinaggio alle origini di Abramo, a Ur dei Caldei, e portare il conforto spirituale ai cristiani d’Oriente in una missione di fratellanza e di ecumenismo, per l’unità dei cristiani e come punto d’incontro tra le comunità religiose monoteiste. Mi soffermo su due tappe: Mosul e Najaf.

La distruzione della moschea Yunus da parte dei falsi giustizieri di al-Baghdadi ci ha fatto dimenticare la storia di Mosul e il suo valore simbolico. Davvero paradossale la giustificazione di abbattere una moschea che porta il nome di un profeta come Giona – caro a ebrei, cristiani e musulmani – solo perché i musulmani vi avrebbero ospitato i cristiani ed entrambi sono stati considerati nemici del 'califfato' del terrore. La visita del Papa a Mosul rappresenta la vittoria della fratellanza sul fratricidio e rilancia la speranza di camminare sulla via della sincera ospitalità reciproca e collaborazione tra credenti. Nella città natale di Abramo, Ur dei Caldei, papa Francesco va alle radici del monoteismo, della fratellanza del padre di Ismaele e di Isacco. Da un lato, le radici del culto sincero per l’adorazione al Dio Unico purificato dal paganesimo idolatrico e, dall’altro lato, il rinnovamento di generazioni di profeti ed eredi di una grande famiglia e compagnia spirituale.

Come musulmani, preghiamo insieme al Papa affinché il richiamo di questa nobile origine della religione primordiale possa essere riscoperta e ritrasmessa come prospettiva di vita e come antidoto e cura dai malanni dell’egoismo e delle lotte tribali di potere e di speculazione effimera. Infine, Najaf, città santa per i musulmani sciiti e sunniti, dove si trova il sepolcro di ’Ali, discepolo e genero del messaggero dell’islam, centro spirituale della nobile famiglia al-Khoei. In questa città è stato assassinato nel 2003 Abd al-Majid al-Khoei, ancora una violenza fratricida contro chi si batteva per l’unità del popolo e il rispetto dei luoghi sacri. Era il figlio del grande ayatollah Abu al-Qasim al-Khoei, fondatore e maestro della scuola di formazione teologica sciita di Najaf. Insieme al mio maestro e padre shaykh Abd al-Wahid Pallavicini incontravamo ogni anno Abd al-Majid al-Khoei al Cairo per un confronto tra musulmani sunniti e sciiti sul dialogo con i cristiani.

Ci diceva che i giochi di potere provocano estremismi contrapposti tra falsi riformisti e falsi tradizionalisti. Il popolo precipita nella barbarie e i religiosi decadono nel formalismo svuotato di spiritualità. Solo l’educazione alla scienza sacra e alla conoscenza religiosa possono arginare questa violenza. L’attuale segretario generale dell’Istituto al-Khoei di Najaf è Sayyed Jawad Mohammed Taqi al-Khoei, tra i firmatari del documento una Fratellanza per la Conoscenza e la Cooperazione (www.christians-muslims. com) e tra i principali promotori dell’incontro tra papa Francesco e uno dei più qualificati maestri spirituali e dottrinali dell’islam tradizionale, l’ayatollah ’Ali al-Sistani. Egli è infatti l’erede di questa scuola islamica, rappresentante di una interpretazione dell’islam sciita differente da quella promossa nella Repubblica Islamica dell’Iran.

L’incontro con papa Francesco a Najaf può ispirare una nuova pista di attuazione della fratellanza: una fratellanza interreligiosa e spirituale. Può aiutare i fratelli e le sorelle della stessa comunità e dello stesso popolo a riconoscersi, rispettando le differenze teologiche e culturali, come credenti uniti nella eredità e nella responsabilità di custodia e ritrasmissione di una presenza spirituale di pace e conoscenza che è stata insegnata dai profeti e dal patriarca Abramo e i suoi figli a ebrei, cristiani e musulmani.

Imam, Coreis

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