Foto d'Argentina, ricordi e timori: essere sereni, non spensierati
sabato 1 dicembre 2018

Gentile direttore,

qualche giorno fa – era il 28 novembre – la fotografia di una manifestazione nell’Argentina di oggi mi ha ricordato le violenze in seguito al colpo di stato del generale Videla nel 1970. Sono sempre rimasto colpito da come è stata dimenticata quella tragedia spaventosa con migliaia di giovani scomparsi, i desaparecidos: fatti sparire, torturati in tanti luoghi segreti (“Garage Olimpo” era uno di questi) e poi buttati dagli aerei o lasciati morire in prigione... Così mi chiedo se sia mai possibile che l’Italia di oggi possa finire come l’Argentina di quegli anni. «...Le proteste si allargavano e le forze dell’ordine non bastavano... a mantenere l’ordine contro questi giovani violenti e pericolosi che facevano attentati ovunque e rendevano la vita dei cittadini impossibile...». Queste frasi le ho raccolte da una signora argentina appartenente alla borghesia, borghesia abbastanza ricca: lei visse tutta la situazione ed era assolutamente d’accordo con il golpe militare. In fondo, si fa presto a convincere le persone delle buone ragioni della repressione violenta contro le proteste e contro i giovani. Sì, perché i giovani che protestano non sono più così simpatici e non li consideriamo “il nostro futuro”, come si dice nei mille salotti o la domenica in televisione. Quando i giovani si organizzano per portare avanti le loro idee, quando alzano la voce e i loro cartelli, quando combattono contro le ingiustizie, allora fanno paura e la gente preferisce girarsi dall’altra parte e non sentire.

Gian Luigi Monari, Genova


Non credo che l’Italia di oggi possa finire come l’Argentina di quegli anni terribili. E neppure l’Italia di domani. Sono sereno o, meglio, cerco di esserlo, ma mi colpisce davvero tanto, gentile signor Monari, che più di qualcuno per lettera e negli incontri e dibattiti pubblici che ho avuto in questi ultimi mesi in diverse parti del nostro amato Paese si ponga, e mi ponga, la questione. Posso dirle che questo senso di disagio e di allarme chiama a un dovere più alto di vigilanza e di partecipazione. E chiama tutti giovani e meno giovani in questo tempo strano e teso, nel quale ci sono uomini di governo di Stati membri della Ue che teorizzano senza alcun imbarazzo la «democrazia illiberale» e illustri opinionisti di casa nostra che argomentano apertamente sul necessario sacrificio della «libertà » in nome di una più salda «sicurezza ». No, il pericolo che lei paventa per la nostra democrazia non è imminente, ma non è neanche inesistente. Siamo sereni, non spensierati.

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