mercoledì 22 dicembre 2010
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La débâcle da neve della scorsa settimana ha riproposto l’urgenza di migliorare l’efficienza della rete ferroviaria, compresi quei bracci della grande "T" (la linea Torino-Venezia dalla quale si stacca a Milano il ramo proteso verso Napoli) ossatura del trasporto veloce su ferro di domani, ma realizzata solo in parte.Una "T", oltre tutto, non connessa alle reti europee fino a quando i binari dell’alta velocità non collegheranno Lione (che significa Parigi) con Torino. Tra Bardonecchia e Modane, cioè tra i due versanti delle Alpi, ci si sposta grazie ad un tunnel realizzato nel 1871 dagli ingegneri Grattoni, Sommeiller e Grandis, quasi 14 chilometri di galleria scavati senza che da parte delle popolazioni locali fossero erette barricate. Quattromila posti di lavoro per 13 anni (tanto durò la perforazione; con i mezzi attuali in 13 anni non si è fatto il passante di Milano) rappresentarono un ottimo incentivo ad accettare galleria e ferrovia.Oggi, al contrario, la realizzazione di una moderna linea ad alta velocità in valle Susa, la famosa Tav, continua ad essere fortemente osteggiata dalle comunità locali e dalla maggior parte delle amministrazioni dei Comuni toccati dal tracciato, soggetto a ripetute modifiche. È un no per la protezione dell’ambiente, si dice. Per la salvaguardia dell’integrità della valle, si aggiunge. Per la tutela della salute, della qualità della vita, del paesaggio, fanno eco altri. Tutti valori meritevoli delle più ampie garanzie, sia chiaro. Ma l’opposizione attuata per partito preso o in forza di pregiudiziali di carattere ideologico, il no senza se e senza ma, il diniego che ignora le ragioni che supportano il sì, e si espone alle strumentalizzazioni di chi ha interesse a fomentare malcontento, non possono identificarsi con la strategia vincente per la promozione dei valori, sacrosanti, che abbiamo elencato. Né può essere pagante una preconcetta chiusura a fronte di un’opera che serve all’Italia, al suo sviluppo e alla sua integrazione nella grande rete europea delle ferrovie del futuro, proprio mentre gli svizzeri potenziano la linea del Gottardo (nel 2016 si transiterà ad alta velocità sotto le Alpi centrali) e per il Brennero si lavora a un mega tunnel di 55 chilometri. Invece senza la Tav l’Italia arrancherà, si troverà ad inseguire gli altri, e quel che è peggio sbarrerà la sua porta ferroviaria occidentale lasciando il Nordovest legato all’esile cordone ombelicale di un traforo come il Fréjus vecchio di un secolo e mezzo e alla linea Genova-Nizza non ancora interamente raddoppiata in Liguria.Piaccia o non piazza, la nuova Torino-Lione ha una sua utilità, tanto che sul versante francese le comunità della valle Moriana l’hanno accettata. E ora l’Europa ci chiede di stringere i tempi. Serve alla svelta e senza ulteriori remore, prima di perdere altri treni dopo che dei 670 milioni stanziati dall’Ue ne abbiamo già sprecati una decina in temporeggiamenti per Bruxelles inspiegabili e intollerabili.Alle ragionevoli obiezioni dei cittadini e dei comuni della val Susa si può rispondere con intelligenza e magari un pizzico di fantasia offrendo adeguate compensazioni per i disagi che i cantieri comporteranno e soprattutto quelle garanzie per la salute e per l’ambiente che la scienza è in grado di assicurare. A quel punto i più determinati esponenti del fronte Nimby (not in my backyard, non nel mio giardino) comprenderanno che arrivare a Roma o a Parigi in cinque ore anziché in dodici conviene, così come conviene bruciare i tempi di consegna delle merci.I soldi, infine. Già i soldi: si parla di almeno 7 miliardi. Dovrebbe essere un problema non insormontabile per un Paese che continua a dirsi disposto a spenderne 16 per il ponte di Messina.
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