lunedì 4 marzo 2013
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Caro direttore,
ieri mattina una giovane donna madre di due bambini, mi ha confessato, tra le lacrime, che insieme al marito ha dovuto impegnare perfino le fedi nuziali per far fronte alla rata del mutuo in scadenza, non avendo alternativa. Trovo ciò di una drammaticità estrema e vergognosa per un Paese civile. Fatto ancora più drammatico, non si tratta di un caso isolato. Sono tante le giovani coppie che impegnano tutto ciò che hanno. Sono dati che sfuggono all’attenzione dei più perché la grande dignità e il pudore di questi giovani impedisce che la cosa diventi pubblica. Mi vergogno, come cittadina, di vivere in un Paese che costringe i suoi figli migliori a iniziative così drammatiche. Questo è un Paese in guerra. E quelli che cadono, sotto i colpi della scure della crisi sono le famiglie giovani, i laureati brillanti, il nostro futuro... Mentre in tv si snocciolano cifre di corruzioni miliardarie, i più vulnerabili, la parte più sana del Paese, è colpita al cuore. Le Istituzioni, gli apparati, quelli mai sfiorati dal dubbio, i sostenitori a parole delle famiglie, i venditori di promesse, sempre in prima fila, pronti a indossare l’armatura per difendere i diritti degli abitanti "dell’isola che non c’è", facciano sentire ora la loro voce o il loro grido. Il mio è un grido di dolore che spero condiviso da tantissime altre persone di pari sensibilità nella speranza che questo Paese trovi la strada giusta per il cambiamento. L’Italia merita di cambiare e i sacrifici si possono pure fare, anche i più estremi, ma se c’è la speranza di un futuro migliore.
Daniela Trevisi, Lecce
La penso esattamente come lei, cara signora Trevisi. La sua accorata testimonianza aiuta a capire bene quale e quanto dolore stia crescendo nel grembo della nostra società e quali e quanti strappi si stiano producendo. Non si può continuare a guardare altrove e non si può "giocare alla politica" mentre c’è da dare seria ed efficace risposta, ovviamente anche e soprattutto politica, alla speranza e al dramma di una generazione costretta a rinunciare persino alla propria "fede", al simbolo di una condivisa e duratura fiducia, per arrabattarsi in un ostile presente. La vicenda reale da cui lei parte, due giovani sposi costretti a impegnare anche gli anelli nuziali, è in questo senso esemplare davvero, e potentemente, metaforica. Se non si capirà e affronterà questo dramma, perderemo fiducia e speranza. E perderemo, costringendole a una vera e propria diaspora o al ribellismo, le forze giovani di un Paese che sta incanutendo ma non diventando più saggio. Non possiamo permetterlo, non possiamo permettercelo. Anch’io non ho più voglia di sentire parole vuote mai seguite da atti e fatti concreti a favore delle famiglie, a sostegno di chi ha voglia e competenza per spingere avanti e su vie nuove (o riscoperte) il nostro futuro comune. Sono stanco di vedere e di dover raccontare una politica ostaggio dei soliti personalismi e di ben noti privilegi e interessi di fazione, o di camarilla. Anche solo l’idea, che in questo nostro Paese grande e sofferente, in quest’Italia meritevole di buon governo e buona economia e buona giustizia, ci si ritrovi a sentir parlare di una gigantesca convocazione e manifestazione di piazza per le beghe giudiziarie e i ritornanti sospetti che gravano su uno dei suoi leader politici – Silvio Berlusconi – lascia attoniti. Sono queste le urgenze per cui mobilitare oggi gli italiani? È questo il fronte di battaglia al quale farsi inchiodare di nuovo? Io non lo credo proprio. E penso che, a questo proposito, anche il complicato voto politico che gli italiani hanno appena dato, sia di inequivocabile chiarezza.
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