domenica 2 dicembre 2012
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Da domani Benedetto XVI farà sentire la sua voce in un ulteriore spazio di relazione, comunicazione, informazione: Twitter. Uno spazio digitale, che volutamente non definisco “virtuale”, perché è invece assolutamente reale, anche se di una realtà immateriale, fatta di bit anziché di atomi. Ma almeno per i cattolici l’idea di una realtà non materiale non dovrebbe costituire un problema!Si tratta di una scelta coraggiosa e, credo, non priva di dubbi e titubanze (come ogni scelta dovrebbe essere). Ma, ciò che più conta, di una scelta che può aiutarci a liberarci di tutte le precomprensioni, i pregiudizi, le paure legati soprattutto a una scarsa o nulla conoscenza degli ambienti digitali; che rischiano di precludere la loro comprensione e, cosa assai più grave, la possibilità di viverli in maniera libera e responsabile, come uno dei territori che abbiamo oggi a disposizione per comunicare, metterci in relazione, annunciare e vivere il Vangelo. «Niente è profano quaggiù per chi sa vedere», diceva Teilhard de Chardin. E questa affermazione coraggiosa gli è costata cara (si chiama parresìa: la verità non è mai a buon mercato). Eppure, oggi lo si riconosce, aveva ragione lui. La paura che la rete sia il luogo dei legami deboli, delle doppie e false identità, dell’inautenticità e dell’inganno è frutto di una cattiva coscienza. Il male esiste, in rete così come nelle relazioni faccia a faccia, e tutto ciò che attribuiamo al web esisteva ben prima che arrivassero i social network. Nella rete portiamo ciò che siamo. Cerchiamo di essere migliori, e anche il web lo sarà.Due esempi (tratti dalla vita “materiale”) possono forse aiutare a comprendere perché è fondamentale riuscire ad abbandonare l’atteggiamento dualista, che contrappone realtà e web anziché vedere il web come una dimensione della realtà. Il primo riguarda la violenza sulle donne. Sappiamo tristemente che la percentuale più alta di violenza sulle donne, compreso l’omicidio, ha come responsabili membri della famiglia, o persone legate affettivamente alle vittime. Diremo dunque alle nostre figlie non ti fidanzare, o non ti sposare, perché il tuo partner può diventare il tuo assassino? Non sarà invece la violenza dentro le famiglie, o tra partner, un segno del fatto che si è smarrito il senso di quella istituzione e di quella relazione, e che il male che vi si trova deve essere un’occasione ineludibile per ripensarne e rigenerarne il senso?Dato che il senso, il valore, la verità sono sempre passibili di tradimento, perché siamo umani e il male esiste. Ma è nostra responsabilità riumanizzare continuamente, senza arrenderci, il mondo in cui viviamo. E non smettere di continuare a cercare la verità che continuamente mortifichiamo. Il secondo esempio riguarda l’abitare. Tanta parte degli studiosi, e anche della Chiesa, sostiene da tempo che il web è un «luogo antropologico», che va abitato e reso abitabile. E abitare è un modo di esistere tipicamente ed esclusivamente umano: gli animali non abitano, si “rintanano” per poter sopravvivere, per difendersi.L’essere umano, invece, se da una parte non può non adattarsi, non tenere conto delle caratteristiche dell’ambiente in cui si trova (gli eschimesi abitano diversamente dai sudanesi), dall’altra è capace di dare forma all’ambiente, iscrivendovi i propri simboli, i propri significati, i propri valori. Trasformando lo “spazio” in un “luogo” che parla: basti pensare alla configurazione delle nostre città, che tutto il mondo ci invidia! Se abitare vuol dire iscrivere i propri significati nello spazio, allora non solo possiamo, ma dobbiamo abitare il web. E se il prossimo messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali si intitola “Reti sociali: porte di verità e di fede; nuovi spazi di evangelizzazione” significa che il dualismo va superato. Che non vuol dire essere acritici tecno–ottimisti. La vigilanza e il discernimento sono condizioni per abitare, ma abitare si deve! Grazie Santo Padre.
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