martedì 10 luglio 2012
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​Caro direttore,
l’osservazione che mi permetto oggi di avanzare mi è già capitato di farla tempi addietro, quando trovai la frase «fare figli», riportata su Avvenire in bocca a un cardinale di spicco. La ritrovo ora, direttore, in una sua risposta a tre lettere di venerdì 6 luglio, dove si parla «del programma dell’Onu che punta a non fare fare figli ai poveri del mondo...». Sulla stessa pagina poi, con sorpresa, leggo pure la notizia di Gustavo Mion, in merito a un articolo di padre Gheddo – che conosco e stimo – del 23 giugno su Avvenire, e a me sfuggito, dal titolo «Fare più figli». L’espressione mi pare scorretta per un motivo teologico: noi genitori non «facciamo» per niente i figli, ma li riceviamo, come appariva un tempo, quando l’atmosfera comune era più cristiana, nel modo di dire «avere un figlio». Ai genitori risale tutt’al più il corpo, ma l’anima, che è quel conta, è opera di Dio.
 
Pignoleria, formalismo? Il linguaggio, però, anche il più inconsapevole, dice sempre ciò che abbiamo e non abbiamo in animo. E questo modo di esprimersi è un dimenticare il posto primario che Dio ha nella nascita del figlio, ed è un inconsapevole cedimento alla mentalità meccanicista e affarista della nostra società secolarizzata, dove tutto è presentato come se fosse di nostro esclusivo potere. Mi sembra perciò opportuno non imitare nel linguaggio la mentalità agnostica, ma di contrapporsi ad essa anche con un linguaggio più adeguato alla realtà. Non me ne voglia. Ossequi.
Matteo Candido, Pordenone
Non gliene voglio, gentile signor Candido. E apprezzo le motivazioni della sua preoccupazione, che però mi pare francamente eccessiva. Già dobbiamo fare i salti mortali per evitare di iscriverci allo slalom tra i mille alberi del "politicamente corretto" che va tanto di moda, e dovremmo impiccarci proprio all’albero di un presunto "teologicamente corretto" persino quando si tratta del sapiente lessico usato dai nostri padri? Le consiglieri di essere indulgente con il cardinale, con padre Gheddo e anche con me: penso, infatti, che chi nella nostra Italia "fa figli" mette, oggi, come forse mai prima, Dio al primo posto. Ricambio con simpatia i suoi ossequi.
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