sabato 16 maggio 2015
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Il 30% della produzione di cibo viene sprecata ed è pari a quattro volte quanto è necessario per sfamare gli 800 milioni di persone che soffrono nel mondo di fame cronica. Allo stesso tempo 42 milioni di bambini sotto i 5 anni sono sovrappeso e 500 milioni di adulti sono affetti da obesità.Il paradosso dello spreco è l’approdo finale del Padiglione Zero, il primo nel quale i visitatori di Expo s’imbattono appena arrivati dall’entrata principale, quella da cui si accede da ferrovia e metropolitana. Il padiglione si propone di ripercorrere in un battito d’ali la storia "economica" dell’umanità. Si parte da una parete gigantesca nella quale sono proiettati una serie di cortometraggi alla Olmi che raccontano un’agricoltura e una pastorizia di sussistenza, per poi procedere verso sale che raccontano la meccanizzazione dell’agricoltura, la nascita dell’industria e delle grandi metropoli fino a confluire nella sala della finanza, un grande ambiente dove scorrono sulle pareti i dati finanziari dei prezzi dei futures sulle derrate agricole. Usciti da questa sala ci sono le riproduzioni di montagne di cibo buttato e i dati sul paradosso dello spreco assieme alle notizie di alcuni importanti progetti che si propongono di affrontare il problema.Parlare del paradosso dello spreco è efficace, scuote le coscienze ma il problema della fame non è solo un problema logistico, che si risolve annullando gli sprechi e redistribuendo a chi ha fame. È un po’ come se organizzassimo un servizio che pulisce la tovaglia del ricco Epulone per portare le sue briciole a Lazzaro e pensassimo, in questo modo, di aver risolto il problema. Dobbiamo invece interrogarci sul perché Lazzaro si trova in quella condizione e in che modo è possibile che si riappropri della sua dignità. Papa Francesco dice spesso con enorme efficacia che non si dà dignità al povero dandogli il pane, ma mettendo il povero in condizione di portare il pane a casa e alla sua famiglia. Sappiamo che dietro il problema della fame degli 800 milioni ci sono problemi locali di guerre e di corruzione dei governi che fanno venir meno le condizioni per lo sviluppo, ma anche problemi globali legati alla difficoltà degli ultimi di risalire la catena del valore. Ed è per questo che l’accento sul progresso tecnologico e sulla crescita delle rese agricole non è sufficiente. A poco serve far crescere la dimensione della torta globale (cosa che il sistema economico mondiale sa fare ottimamente) se poi chi ha più bisogno non è nelle condizioni di ritagliarsi una fetta necessaria per promuovere la propria dignità.Per risolvere il problema dobbiamo dunque lavorare su due fronti. Creando condizioni di pace e qualità delle istituzioni all’interno dei Paesi più disastrati dal punto di vista politico. E offrendo opportunità agli ultimi per risalire la catena del valore, attraverso i molti modi che oggi conosciamo. Tra questi, spiccano il garantire pari opportunità attraverso l’accesso all’istruzione e al credito con politiche e progetti opportuni e, su un piano complementare, il rendere economicamente conveniente attraverso il "voto col portafoglio" (propri del consumo e del risparmio consapevoli) un comportamento di maggiore responsabilità sociale e ambientale delle grandi imprese che controllano le filiere alimentari e non solo.Il tema dell’Expo 2015 – "Nutrire il pianeta, energia per la vita" – è senz’altro indovinato e di successo. Mettere al centro il cibo, e non qualcosa di più astratto, consente di stuzzicare la curiosità e i palati dei visitatori che si aggirano tra i padiglioni attirando, allo stesso tempo, la loro attenzione verso problemi chiave per il nostro futuro come quelli della sostenibilità ambientale e della lotta alla fame e alla miseria. Sarebbe però bello se da questa iniziativa, che mette il nostro Paese al centro dell’attenzione, partissero delle iniziative più concrete e meno dichiarazioni di principio per rendere il sistema economico più ambientalmente e socialmente sostenibile.Non c’è, infatti, nulla di nuovo da scoprire, perché la fame è una malattia di cui conosciamo benissimo ragioni e cura. Il problema è creare le condizioni perché la cura sia somministrata. Rendendoci conto che il mercato non è qualcosa che passa sopra le nostre teste. Il mercato siamo noi. La responsabilità sociale e ambientale d’impresa è cosa bella, buona e giusta, fa fiorire la vita di chi la pratica ed è probabilmente l’unica via di salvezza del pianeta da nuove catastrofi economiche, politiche e finanziarie. La nostra missione è renderla praticabile dalla maggioranza dei cittadini ed economicamente sostenibile per le imprese. Una missione affascinante su cui si gioca il bello della nostra vita che fiorisce e si realizza se e quando ognuno di noi capisce di essere parte della soluzione e non del problema.
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