La Pentecoste e il mondo da rifare: in solidale diversità
sabato 22 maggio 2021

Nella domenica di Pentecoste dell’anno passato, in pieno flagello Covid, papa Francesco tenne – era l’ultimo giorno di maggio – un’omelia che terminava con parole rimaste nella memoria. Certo impegnative per la Chiesa, ma incisive anche per i governi e i popoli di ogni Paese: «Peggio di questa crisi c’è solo il dramma di sprecarla». E le pronunciò a modo suo: in forma di preghiera allo Spirito Santo. Che a modo nostro interrogano e sollevano diverse domande sulle questioni pressanti che la pandemia ha messo in rilievo e possono trasformarsi in occasione perduta per mettere mano a un vero e necessario cambiamento.

In questi ultimi mesi, la tentazione di scordare in fretta e ricostituire la «normalità di prima» sembra correre veloce. Ma non ci può essere normalità perpetrando il sistema di ingiustizie sociali e degrado ambientale. Questa è una "normalità" malata, e lo era già da prima: la pandemia l’ha solo evidenziato. «La normalità alla quale siamo chiamati per uscirne – aveva detto Francesco nel settembre scorso – è quella di trovare la cura non solo per il coronavirus, ma anche per i grandi virus umani e socio-economici che il Covid-19 ha messo a nudo: disuguaglianza di opportunità, di beni, di accesso alla sanità, alla tecnologia, all’educazione».

Ingiustizie che non sono naturali né inevitabili e che non possono essere nascoste, come ha ancora ribadito il Papa: «La pandemia è una crisi, e da una crisi non si esce uguali: o usciamo migliori o usciamo peggiori. Dopo la crisi, continueremo con questo sistema economico di ingiustizia sociale e di disprezzo per la cura dell’ambiente, del creato, della casa comune?».

Che Francesco si muova – a differenza di certi poteri – avendo una visione larga e lunga dei problemi e delle vie per risolverli, non è del resto un segreto né un mistero. L’aveva ampiamente dimostrato nella serie di udienze generali dell’estate scorsa sul tema "Guarire il mondo" nelle quali aveva indicato con precisione in che modo aiutare a guarire dai mali e dalle ferite del Covid con una rinnovata visione. E le questioni più pressanti oggi di bruciante attualità le aveva anticipate in pieno lockdown un anno fa. Come i vaccini: «Sarebbe triste se nel vaccino per il Covid-19 si desse la priorità ai più ricchi! Sarebbe triste se questo vaccino diventasse proprietà di questa o quella nazione e non fosse universale e per tutti. E che scandalo sarebbe se tutta l’assistenza economica che stiamo osservando – la maggior parte con denaro pubblico – si concentrasse a riscattare industrie che non contribuiscono all’inclusione degli esclusi», se non andasse «alla promozione degli ultimi, al bene comune o alla cura del creato».

Il Papa aveva poi aggiunto quattro «criteri per scegliere quali saranno le industrie da aiutare»: «Quelle che contribuiscono all’inclusione degli esclusi, alla promozione degli ultimi, al bene comune e alla cura del creato». Per tutto questo anno papa Francesco si è rivolto alla Chiesa e al mondo proponendo alternative ad abitudini e strutture sociali che la pandemia ha rivelato come carenti in giustizia, insostenibili, bisognose di riforme drastiche per mantenere al centro il valore della persona umana. E lo ha fatto alla luce del Vangelo, ricordando semplicemente i princìpi della dottrina sociale della Chiesa. Princìpi fondamentali, che possono aiutare a preparare il futuro di cui abbiamo bisogno. Quali? Citando quelli più importanti, tra loro strettamente connessi, Francesco ha ricordato il principio della dignità della persona, del bene comune, dell’opzione preferenziale per i poveri, della destinazione universale dei beni, della solidarietà, della sussidiarietà, della cura per la nostra casa comune: «Nel mezzo della pandemia che ci affligge – ha detto – ci siamo ancorati ai princìpi della dottrina sociale della Chiesa, lasciandoci guidare dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Qui abbiamo trovato un solido aiuto per essere operatori di trasformazione che sognano in grande, non si fermano alle meschinità che dividono e feriscono, ma incoraggiano a generare un mondo nuovo e migliore».

Oggi è di nuovo Pentecoste, il giorno che ricorda la nascita della prima comunità cristiana dove Dio si fa presente e ispira la fede: «Diversità e solidarietà unite in armonia, questa è la strada. Una diversità solidale possiede gli "anticorpi" affinché la singolarità di ciascuno – che è un dono, unico e irripetibile – non si ammali di individualismo, di egoismo». La diversità solidale «possiede anche gli anticorpi per guarire strutture e processi sociali che sono degenerati in sistemi di ingiustizia» e «di oppressione». È questa la strada da percorrere per entrare davvero in un mondo post-pandemia, dirigendoci verso la guarigione delle nostre malattie interpersonali, sociali ed economiche. Non ce n’è un’altra. È la Pentecoste.

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