sabato 3 settembre 2011
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Questo giornale è stato tra i primi a indicare una seria e credibile campagna di lotta all’evasione fiscale come strumento cruciale per un risanamento dei conti pubblici, volto all’obiettivo del pareggio di bilancio e improntato a criteri di ragionevole equità. Quell’equità che non ci potrà mai essere finché un sesto circa della ricchezza nazionale continuerà a sfuggire – come attestano numerose ricerche in materia – a ogni forma di imposizione. È naturale, pertanto, che le nuove misure annunciate l’altro ieri dal ministro Tremonti fra le modifiche da apportare in Senato alla manovra-bis vadano comunque accolte come un fatto positivo, come la dimostrazione della volontà di imprimere quell’inversione di tendenza che gran parte dell’opinione pubblica si attendeva almeno sul fenomeno evasione. Bene, dunque, quanto a intenzioni. Anche se si resta, purtroppo, soprattutto dentro quella logica prevalentemente sanzionatoria (punire chi evade le tasse, se e quando scoperto) che non accompagna ma oggi quasi esclude la logica premiale (offrire vantaggi fiscali certi a chi opera, e fa operare, alla luce del sole) che da Avvenire è stata ripetutamente lodata e auspicata e che, altrove nel mondo, si è affermata e funziona.Più che il rischio-carcere per i grandi evasori (ma sarà davvero così, in un Paese dove troppo spesso le norme vengono aggirate, depotenziate e disapplicate?), più che il rischio-chiusura per le attività che non emettono scontrini (che possono anche essere rilasciati al cliente, ma poi non registrati dall’esercente ai fini fiscali), più che la comprensibilmente controversa facoltà concessa ai Comuni di rendere pubbliche le dichiarazioni dei redditi dei propri cittadini, potrebbe rivelarsi particolarmente utile l’obbligo di inserire sul "modello Unico" o sul "730" gli estremi dei conti bancari detenuti: un semplice accorgimento per il cittadino onesto, che nulla ha da temere, che consentirà all’Agenzia delle Entrate di semplificare e velocizzare verifiche fiscali sui contribuenti giudicati "a rischio".Ma se questo (ancora imperfetto) farsi carico dello scandalo-evasione doveva essere un passaggio cruciale della «rivoluzione liberale» promessa 17 anni orsono da Silvio Berlusconi, non ci si poteva arrivare prima? Ecco, se un appunto si può muovere al secco rafforzamento delle norme anti-evasione datato "estate 2011", è relativo alla qualità della strategia complessiva sin qui seguita nel contrasto a questo bubbone. Appena tre anni fa, secondo il copione secondorepubblicano che prevede che la destra non accetti mai eredità dalla sinsistra e viceversa, questa legislatura si era aperta con l’archiviazione di due norme volute dal precedente governo di centrosinistra: la tracciabilità dei pagamenti (che, cercando di limitare l’uso del contante, si prefiggeva di snidare le sacche di evasione) e l’elenco clienti-fornitori (che consente all’amministrazione finanziaria di incrociare le fatture emesse dalla società che eroga un bene o una prestazione e quelle dichiarate dalla società "ricevente", rendendo così più agevole cogliere le anomalie). Tanto che, almeno sulla prima misura (la tracciabilità), la maggioranza di centrodestra ha ora innestato la marcia indietro, sia pure fissando una soglia a 2.500 euro contro i 1.000 previsti dal governo Prodi.Coerenza, si diceva. La stessa dote che dovrebbe suggerire a chi governa e siede in Parlamento di evitare d’ora in poi battute sulle tasse (come anche sulle multe per le quote-latte) e sul «diritto naturale» a non pagare oltre un certo limite... Perché il diritto è la base della nostra convivenza civile, ma l’esempio che viene dall’alto rimane tuttora la lezione più significativa per tutti.Non meno importante della coerenza, è infine la chiarezza. E qui un’ultima considerazione, s’impone. Mentre il ministro dell’Economia stava ancora illustrando la nuova (terza) versione di una manovra che già ne integra un’altra varata appena un mese prima, a luglio, il premier ha annunciato, da Parigi, una «clausola di salvaguardia» basata sull’aumento dell’Iva. Ci auguriamo di tutto cuore di essere smentiti dai fatti, ma va da sé che un decreto basato su stime approssimative (che la stessa Relazione tecnica allegata dal governo indica ripetutamente con il termine  «prudenziali») di lotta all’evasione ha ampie probabilità di rivelarsi privo di copertura (e su questo non mancano le preoccupazioni di organi di controllo italiani ed europei). Un ulteriore intervento di correzione dei conti, il terzo nell’anno, potrebbe quindi rendersi necessario. Viene da chiedersi: perché indugiare ulteriormente? Non ripetere gli errori del passato è una virtù, ma anche un dovere politico.
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