martedì 28 ottobre 2014
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​«La donazione di gameti è più di un trasferimento di gameti da un soggetto a un altro. È parte di un modo di costruire una famiglia che coinvolge un interscambio complesso di emozioni e di bisogni psicologici del donatore, del ricevente, della prole e, potenzialmente, della famiglia del donatore». Chi lo dice? Un bioeticista cattolico? Un’associazione pro-life? No. È uno dei passaggi finali del recentissimo parere su "interessi, obblighi e diritti nella donazione dei gameti" del Comitato Etico della Società Americana per la Medicina Riproduttiva, la più importante società scientifica americana di settore, a cui aderisce anche la Società per le Tecnologie di Riproduzione Assistita, che comprende gran parte delle cliniche americane di fecondazione assistita. Il testo continua: «Ciò richiede un riesame del processo del consenso e una nuova attenzione nei confronti del panorama delle responsabilità etiche, così come dei diritti reciproci delle parti coinvolte».Si tratta quindi di professionisti che praticano da lungo tempo la fecondazione assistita, sono favorevoli a molte pratiche fra cui l’eterologa (che nel documento viene indicata sempre con l’espressione «donazione di gameti»), guadagnandoci sopra. Quel che sorprende, nel testo, è la franchezza con cui si parla delle problematiche reali, senza nascondere o mascherare criticità e conflitti, come invece avviene nel dibattito pubblico italiano, troppo spesso falsato da posizioni ideologiche che non consentono di discutere apertamente dei dati di fatto. Ad esempio, parlando del "donatore", si specifica che una persona si indica come tale indipendentemente dal fatto che sia pagata o meno: non come in Italia, dove il fatto che i gameti si paghino viene ancora negato con forza. Il Comitato etico, invece, definisce "donatore" chi dà i propri gameti a un ricevente, e non si assume responsabilità rispetto a eventuali gravidanze future, affermando che il pagamento deve essere esplicitato nei dettagli e con chiarezza. Si riconosce anche che i riceventi scelgono i potenziali donatori «in cataloghi o siti internet per conoscerne il retroterra, la personalità e la storia medica».Grazie a questa riflessione aperta, si riescono a porre onestamente sul tappeto molti degli innegabili problemi che si fanno avanti da soli in queste procedure. La riflessione di fondo che emerge è la seguente: donatori, riceventi, prole, e cliniche hanno obblighi e doveri reciproci che non si esauriscono nell’approvvigionamento di gameti, ma che durano per l’intera esistenza di tutte le parti coinvolte. Obblighi e doveri che si devono bilanciare, spesso in conflitto fra loro, ma che vanno presi tutti nella dovuta considerazione. Le parti possono cambiare idea, nel corso del tempo: è naturalmente lecito che lo facciano, e per questo è bene chiarire subito che i contratti stipulati, qualunque impegno prevedano, potrebbero non essere rispettati, in futuro. Si suggerisce, in generale, la massima trasparenza nelle informazioni nei confronti di tutti.
Per esempio, «l’anonimato potrebbe essere contestato in futuro da tribunali o leggi che pesano maggiormente l’interesse della prole a conoscere le proprie origini genetiche, rispetto all’interesse del donatore alla privacy, o del ricevente ad avere una famiglia senza complicazioni»; come anche potrebbe accadere l’inverso, e venire meno il consenso del donatore a essere rintracciato. Nel testo si nota che, nel bilancio degli interessi di tutte le parti coinvolte, in passato si è dato poco spazio alla figura del donatore, che non viene più visto come un mero "fornitore" di gameti. Innanzitutto, dovrebbe essere consapevole dell’impatto del suo gesto nei confronti della propria eventuale futura famiglia, in particolare modo dei figli, che potrebbero trovarsi con un numero imprecisato di fratellastri. Secondo il Comitato Etico americano, i donatori dovrebbero essere informati di benefici e rischi anche psicologici della donazione, e del fatto che «non ci sono dati sugli aspetti emozionali e psicologici a lungo termine della donazione dei gameti».
Accanto ai donatori che vogliono restare anonimi, bisogna tenere conto di chi invece vuole conoscere l’esito della donazione, anche dopo anni: se sono nati bambini, il loro stato di salute, la possibilità di contattarli e incontrarli. Il Comitato Etico incoraggia le cliniche nel far conoscere al donatore le eventuali nascite, pur ritenendo lecita anche la decisione dei centri di serbare il segreto sull’esito delle donazioni, visto anche che «rimane sconosciuto l’impatto emozionale del contatto con una prole numerosa». I donatori dovrebbero poi poter sapere se esistono embrioni congelati sovrannumerari formati con i propri gameti, e quale sia il loro destino finale, se per altre gravidanze o per la ricerca scientifica, pur consapevoli di non poter rivendicare alcunché. Gli autori riflettono poi sullo scambio di informazioni sulla salute di donatori e nati. È necessario che il donatore dia notizie corrette sulla sua storia familiare dal punto di vista medico, e si sottoponga ai necessari test genetici e a quelli legati a possibili infezioni; è però altrettanto importante conoscere eventuali problemi di salute dei nati da eterologa, a vantaggio e tutela di tutti i figli del donatore, sia "legali" sia "biologici". Ci si chiede fino a che punto, dopo la donazione, chi ha dato i propri gameti abbia la responsabilità di aggiornare le notizie sul proprio stato di salute, comunicandolo ai riceventi e a tutti i nati, senza che questo sia reciprocamente invasivo.
Gli autori del documento riconoscono quindi un’evidenza: con il diffondersi dell’eterologa, il legame fra genitori biologici e legali e prole di entrambi viene sempre più cercato dai diversi soggetti coinvolti, per i motivi più diversi, e non si può pensare di poterlo ignorare o addirittura troncare una volta avvenuta la donazione o la nascita. Il testo sottolinea più volte che, nel tempo, sono cambiate aspettative e relazioni fra le parti in causa: «Ad esempio, l’aspettativa di assoluta anonimità è evoluta in quella secondo la quale i riceventi hanno più informazioni sui donatori, inclusa la possibilità di un contatto futuro fra donatori e prole». Si ribadisce che, a prescindere dai contratti stipulati, è sempre più difficile evitare contatti non intenzionali fra nati da eterologa e genitori biologici: fondamentale il ruolo della rete, con l’offerta abbondante di siti internet dedicati alla ricerca dei donatori e di fratellastri. Al tempo stesso, «nell’era della medicina genetica, c’è il rischio di scoperte casuali», considerando la probabilità sempre più elevata di essere sottoposti a test genetici per i motivi più diversi. Nessuno può ormai garantire che l’anonimato del donatore, anche quando riconosciuto prevalente negli interessi e diritti reciproci, sia rispettato per sempre. Per questo, prevedere fin dall’inizio di aprire anche alle informazioni sull’identità del donatore «ha il potenziale di soddisfare le esigenze di sviluppo di un bambino che entra nella sua età adulta». Ora che il divieto di eterologa non può essere reintrodotto neppure dal Parlamento (sebbene gli italiani contrari a questa pratica siano una netta maggioranza, secondo gli ultimi dati disponibili), dovremmo almeno osservare quel che accade negli altri Paesi, dove l’eterologa è praticata da tempo, e aprire un dibattito il più possibile onesto sui nuovi scenari che si stanno aprendo.
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