mercoledì 12 novembre 2014
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Sarebbe profondamente sbagliato archiviare a mero caso di "malasanità" la notizia delle undici donne morte nei giorni scorsi in India, a seguito di un intervento chirurgico di sterilizzazione. Vero è che, con ogni probabilità, si sono verificate negligenze da parte dei sanitari in questione. Ma quanto avvenuto nello Stato del Chhattisgarh è la spia di una situazione ben più drammatica, che chiama in causa società civile e istituzioni di quello che ama definirsi (e lo è) il Paese democratico più grande del mondo. In diverse parti dell’India – che da tempo ha superato la soglia del miliardo di abitanti – è in atto, infatti, un vasto programma statale di sterilizzazione di massa, che ha come obiettivo il controllo delle nascite. Alle coppie che accettano di sottoporsi a questa pratica viene offerta una cifra che corrisponde all’incirca a una settimana di salario per una famiglia povera. Un baratto a dir poco perverso: una manciata di soldi (ma il giudizio etico non cambierebbe anche se si trattasse di una somma consistente) in cambio della rinuncia perpetua e irreversibile a un bene di valore infinito quale la possibilità di generare.La gioia di mettere al mondo un figlio viene così sacrificata – non senza sofferenza, c’è da giurarlo – sotto la spinta tremenda della povertà. Molto spesso, poi, le donne si ritrovano sterili con l’inganno, senza che abbiano piena coscienza delle conseguenze inesorabili della loro decisione. Una doppia violenza, anzi, una barbarie ancora più vergognosa.Non stiamo peraltro parlando di iniziative isolate. Solo nel 2012 in India sarebbero state costrette alla sterilizzazione 4 milioni e mezzo di donne, l’equivalente della popolazione dell’intera Emilia-Romagna. Il ministero della Salute del Bihar, lo Stato più povero del Paese, solo 2 anni fa aveva l’obiettivo annuale di sterilizzare 650mila donne (a fronte di 12mila uomini). La pratica colpisce quasi sempre solo la componente femminile della popolazione. Risultato: quasi metà delle coppie in India (dati Onu) cerca di controllare le nascite, ma nella quasi totalità dei casi lo fa sterilizzando la moglie. Una discriminazione che avrebbe dovuto da tempo far insorgere le femministe di tutto il mondo. Tutte e tutti coloro che davvero hanno a cuore i diritti delle donne dovrebbero unirsi in una battaglia contro una pratica terribile che vede l’India in cima a questa ignobile classifica, ma non risparmia l’altro colosso asiatico: la Cina. Nel 2011 fece scalpore un rapporto dell’associazione Women’s Rights Without Frontiers, che elencava una serie di violazioni alla dignità della donna, ivi compresi casi di sterilizzazioni forzate. È passato del tempo da allora, ma non v’è la certezza che in Cina, pur essendo stata modificata in meglio la legge sul figlio unico, casi del genere non si ripetano più. Inalterato è rimasto l’assunto di fondo di tale legislazione, ovvero l’esigenza di contenere in ogni modo il numero dei nati «per il bene dello Stato». Come se potesse essere stabilito per legge la quantità di commensali che hanno diritto a sedersi alla tavola dell’umanità.In fondo, è la stessa logica che spinse il governo di Fujimori a inviare sulle Ande peruviane, tra il 1995 e il 2000, funzionari incaricati di attuare – anche con la forza se necessario – un rigido programma di pianificazione familiare. Circa 300mila donne vennero sterilizzate forzosamente, con la promessa di ricevere in cambio un po’ di riso o di zucchero. Anche in questo caso il bersaglio era la parte più vulnerabile e povera della popolazione.Il paradosso amaro della vicenda indiana da cui siamo partiti per questa riflessione è che condannare la donna all’infertilità è una forma di violenza non diversa dall’utilizzare il suo utero per "produrre" un bimbo da mettere sul mercato. In entrambi i casi la donna non è più persona, ma oggetto. Nel primo caso la si priva della possibilità di dare vita, nel secondo ci si appropria, per denaro, del suo grembo e della vita da lei sbocciata. Due fenomeni diversi, un’unica degenerazione. Un vero esproprio proletario. Da condannare con il massimo della chiarezza. E da fermare.
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