venerdì 6 febbraio 2015
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Caro direttore,è un’escalation di violenza quella che in questi giorni riempie d’angoscia le pagine dei nostri giornali e i cuori di noi spettatori del cosiddetto primo mondo. Da mesi ci troviamo costretti a fare i conti con il continuo evolversi della comunicazione del terrore, i video dell’orrore di prigionieri decapitati, arsi vivi, impiccati per ripicca. Immagini che si perfezionano sempre di più. Arrivano a noi montate ad arte, in alta risoluzione, patinate. Quasi che il video dell’orrore faccia prima a emanciparsi, a evolversi, rispetto a chi ha deciso di compiere riti efferati e tribali, incivili, in nome dell’integralismo e rifiuta di accettare un mondo che per sua natura cambia, si mescola, cresce e si integra. I fatti di Parigi, in particolare, hanno spinto molti a cavalcare più che mai la paura del diverso. Non è più solo fastidio, quello suscitato dalle immagini degli sbarchi dei migranti, si tenta strumentalmente di trasformare la disperazione del migrante in minaccia concreta, l’esule in terrorista. Rischi questi a cui si pensa di dare una riposta chiudendo le frontiere, ridiscutendo il trattato di Schengen, compiendo irreversibili passi indietro. Qual è oggi il ruolo del nostro continente se non quello di essere ancora una volta faro nella notte più buia, quella dei diritti civili violati? Qual è il compito dell’Europa se non quello di essere guida e maestra, come fu Virgilio per Dante, nel condurre il mondo e la gioventù dall’inferno della violenza pura al paradiso di un modo più equo, più giusto e che si fondi sui principi di libertà, uguaglianza e integrazione? Solo l’opportunità della coesistenza pacifica può salvarci. Sappiamo tutti che gli attentatori che hanno colpito il giornale satirico "Charlie Hebdo" erano francesi. Ciò dimostra che solo sentendosi integrati, consapevoli cittadini europei, si può fuggire il rischio del terrorismo. Solo lavorando per essere tutti cittadini del Mediterraneo si possono allontanare da noi le divergenze culturali in cui germinano gli integralismi. È proprio per questo motivo che come Agenzia nazionale dei giovani, in giorni complessi come questi, abbiamo deciso di organizzare a Roma due importanti eventi nell’ambito della cooperazione Euromediterranea. Più volte l’attuale Governo ha sottolineato l’importanza centrale della formazione e dell’istruzione come unico volano per il superamento di pregiudizi e conflitti e come arma fondamentale per la costruzione di un futuro di pace e coabitazione globale. In questa chiave accogliere formatori e rappresentati delle Agenzie responsabili dei giovani di Algeria, Giordania, Tunisia, Marocco, Egitto, Israele, Libano, Palestina, Turchia, Finlandia, Francia, Tunisia e Austria nella città simbolo delle radici giudaico-cristiane è un gesto importante e decisivo. Crediamo fermamente che l’Italia debba avere un ruolo cardine nella cooperazione dell’area Euromediterranea al fine di promuoverne una crescita inclusiva, intelligente e sostenibile attraverso gli strumenti che l’Europa mette a disposizione delle nuove generazioni. Messaggi di odio e violenza come quelli lanciati dall’Is e dal jihadismo islamico non possono e non devono trovare terreno fertile nei nostri ragazzi. Quella che abbiamo è un’occasione preziosa per l’Italia per farsi promotrice, nel bacino del Mediterraneo, di importanti sfide e per lanciare un messaggio consapevole di lotta contro ogni intolleranza. Non la sprecheremo.Giacomo D’Arrigo, direttore dell’Agenzia nazionale dei giovaniLa verità, caro direttore D’Arrigo, è che non siamo solo «spettatori» delle terribili violenze commesse in Siria e in Iraq dagli scherani dell’autoproclamato califfato islamico e, in terra d’Africa, dai loro simili. Dico che non siamo solo «spettatori» perché tutto questo orrore – l’ultimo è nella raccapricciante denuncia dell’Onu di crocifissioni di bambini avvenute nei territori in mano all’Is – ha padri e madri che purtroppo conosciamo bene. La scriteriata presunzione delle potenze del Primo Mondo (ovvero del mondo occidentale) che hanno scatenato nel Vicino Oriente e in Africa il mostro della guerra, incuranti delle conseguenze. L’assurda insensibilità e cecità che soprattutto in Europa e in America ha fatto – e, incredibilmente, fa ancora – considerare poco o nulla le sofferenze delle minoranze religiose ed etniche, soprattutto cristiane, perseguitate dai fondamentalisti islamici (e funzionali a piani di "riorganizzazione" di aree territoriali e di sfere di influenza di grandi potenze e potentati regionali). Il silenzio da ignavi, e persino da compiacenti, che le più accreditate autorità religiose musulmane hanno a lungo mantenuto di fronte alla follia assassina del terrorismo religioso e l’appoggio garantito da Stati e organizzazioni del mondo islamico al radicalismo più feroce e intollerante, anche attraverso il propagarsi in Asia, Africa e nella stessa Europa di "scuole" orientate a questo fine. Mi fermo qui. Perché l’analisi è già stata fatta troppe volte, ed è proprio tempo di cominciare ad articolare risposte forti ed efficaci. E io penso che l’iniziativa da lei annunciata, e brevemente illustrata, di una grande cooperazione formativa euromediterranea sia uno degli strumenti più preziosi che possiamo mettere in campo. Anzi, lo considero indispensabile. So infatti che i jihadisti debbono essere fermati e sconfitti, che le persone e le terre che essi hanno soggiogato debbono essere liberate, ma so pure che l’arma definitiva contro la macchina dell’odio fondamentalista è e sarà l’educazione. Un’educazione sistematica, coraggiosa e contagiosa. Educazione ai valori di libertà, di uguaglianza e di solidarietà che fondano la civile convivenza tra diversi. Educazione all’umanesimo che dà basi alla cultura comune di chi coltiva visioni differenti ma non nutre propositi di sopraffazione o di negazione dell’altro. Educazione ai princìpi posti a presidio della intangibile dignità di ogni persona umana, uomo e donna. Le auguro un lavoro buono e produttivo, caro direttore, e spero con lei che l’Italia e l’Europa sappiano fare finalmente e concretamente la propria parte.
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