Eppure c'è una tenerezza che porta via dalla guerra
mercoledì 9 marzo 2022

Caro direttore,
la guerra che torna a ferire il Vecchio Continente ci mette ancora una volta davanti a una realtà che spiazza e provoca. Il doloroso contraccolpo che proviamo innanzi alla violenza abbattutasi sul popolo ucraino, dice di un’ultima impossibilità da parte nostra ad accettare questo male. Per quanto le cose non vadano bene, noi questo bene profondamente lo desideriamo. Lo descriveva con lucidità già san Paolo quando riconosceva: «Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio… io trovo in me questa legge: quando voglio fare il bene, il male è accanto a me» (Rm 7, 19-21).

Quante volte sperimentiamo la verità di questa affermazione di Paolo sulla nostra pelle, nella nostra quotidianità! Quello dell’apostolo, infatti, è un giudizio che affonda nella profondità stessa dell’essere, dell’ontologia dell’uomo in tutta la sua abissale misteriosità: «Un baratro è l’uomo e il suo cuore un abisso» (Salmo 63, 7). Eppure, quello che sembra essere la tragica impasse di ogni uomo e così dell’intera storia non ha, nell’esperienza di Paolo, l’ultima parola. Per l’apostolo ciò che è impossibile all’uomo «Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carn» (Rm 8,3).

Laddove è smarrita la coscienza di questa tenerezza di Dio che non recrimina ma salva, facendosi presenza carnalmente riconoscibile dall’uomo, l’uomo ha innanzi solamente il suo male. Descriveva tutto questo don Giussani, commentando il 'Requiem' di Mozart: «L’ingiustizia del mondo è la dimenticanza di Dio, l’ingiustizia nella tua vita e nella mia vita è la dimenticanza di Dio, questo è il 'delitto', dal quale tutti gli altri delitti derivano. […] L’uomo pretende di sapere ciò per cui la vita è giusta; se non avviene quello che desidera possedere, e nel modo in cui lo desidera, allora si ribella. È innegabile che questa è un’ingiustizia, è l’ingiustizia. […] Ferita o stortura mortale vuol dire che noi non possiamo essere noi stessi: nasciamo senza poter essere noi stessi. Eppure, non c’è nessun atto vero nella nostra vita cosciente, se non parte dalla coscienza di essere peccatori».

Ma, prosegue Giussani, questa consapevolezza non fiorisce in noi nei termini di un richiamo morale, ma per una presenza capace di un abbraccio alla nostra povertà e impotenza. Prosegue infatti Giussani: «In questo mondo 'incristiano', scristianizzato, l’uomo è senza possibilità di perdono, […] non può ricostruire se stesso perché per ricostruire se stesso deve sentirsi perdonato. […] 'Rex… qui salvandos salvas gratis, salva me, fons pietatis': questo è ciò che occorreva all’uomo, questo è ciò che occorre all’uomo, che occorre a me, oggi, adesso: una 'fons pietatis', una sorgente di pietà. Gesù è venuto, la fonte, la sorgente di pietà […] viene ora; come una madre guarda e abbraccia il suo bambino. […] Gesù viene e senza attardarsi cosa fa? Non confuta i maledetti, non calcola, non giudica, non anticipa il giudizio universale per evitare l’amarezza eterna: Egli fa il cristianesimo. Cosa vuol dire fare il cristianesimo? […] Il cristianesimo è l’avvenimento del legame che Cristo ha stabilito con te.

Allora bisogna dire sì a questo legame. Dire di sì al legame che Cristo ha stabilito con te è la decisione per l’esistenza' (L. Giussani, 'Spirto gentil'). Anche quando taceranno le armi, anche quando sarà ricostruito quanto vigliaccamente distrutto in queste ore, solo una presenza carnale come quella di Cristo, irriducibile nella sua forza di perdono e di abbraccio al nostro bisogno, potrà «ricostruire l’uomo». Abbiamo proprio bisogno di intercettare uomini in cui vibra questo sguardo di Cristo pieno di tenerezza per l’uomo. Come molte volte ho sentito ripetere a don Carrón: «Chi non desidererebbe essere guardato con questa tenerezza?». Solo così, anche noi sempre nuovamente ci potremo sorprendere, pur con tutta la nostra capacità di male, a desiderare ancora il bene, a poterlo preferire cedendo all’attrattiva di queste presenze così impastate con Cristo.

Sacerdote e teologo, Facoltà Teologica dell’Italia Centrale © RIPRODUZIONE RISERVATA

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