martedì 12 marzo 2013
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​Cassonetti bruciati, sit in contro una discarica, rivolte contro l’arrivo di rifiuti, sindaci capipolo. Tutto domenica scorsa. No, non siamo all’ennesima (ancora non finita…) emergenza rifiuti in Campania. Siamo nel Lazio ma il film è lo stesso proiettato per quindici anni tra Napoli e dintorni. Un mix di incapacità delle amministrazioni pubbliche, populismo ("non nel mio cortile"…), collusioni, ignoranza e inquietante, ossessiva presenza della criminalità organizzata e/o ambientale, fatta da imprenditori fuori legge, collusi, senza scrupoli. L’abbiamo visto per troppi anni in Campania, ne stiamo vedendo le prime sequenze anche nel Lazio, Roma in testa. «Ci stanno copiando», così alcuni mesi fa ironizzava, ma mica tanto, l’assessore all’Ambiente della Campania. E aveva ragione. Un gran brutto film, dove la parte peggiore la recita la politica, locale e non solo. Che non è stata capace di capire dove si stava andando a finire, anche se era ben chiaro. Una classe dirigente sinora preoccupata di "non rovinarsi il consenso", di cercare il facile applauso, piuttosto che di ricercare soluzioni. Che ci sono, c’erano, da tempo. Si è preferito (e la magistratura, giustamente, indaga) il "tutto discarica", il "tutto Malagrotta". Con una raccolta differenziata ai minimi e fatta male, soprattutto senza vero coinvolgimento dei cittadini, unico modo per realizzarla in maniera efficiente ed economicamente vantaggiosa. No, niente di tutto questo. Solo il "buco nero" della discarica. Che non è infinita, e non lo può diventare. Ma quando finalmente, sotto l’incubo dei rifiuti per strada, si è cercato un nuovo luogo (ahimè, sempre per una discarica) sono scattate le solite scene madri, fatte di ricorsi e rivolte. E ogni luogo scelto, sia dagli amministratori locali sia dai commissari straordinari (figura ben nota, in negativo, in Campania) è stato abbandonato. Si è così imboccata un’altra via obbligata, quella di mandare i rifiuti nelle altre province laziali. Ma anche qui proteste di piazza, sindaci in testa, e ricorsi e controricorsi. Come per i rifiuti campani. Ricordate. «Non vogliamo i rifiuti di Napoli», proclamarono i governatori del Nord, leghisti e non solo, ma anche alcune province "sorelle" campane. E i rifiuti non arrivarono (mentre quelli del Nord, tossici, in Campania ci sono arrivati, eccome, per decenni, e ci continuano ad arrivare). Questa volta si tratta "solo" di province della stessa regione, il Lazio. Certo, lo ripetiamo, sono solo palliativi, così come lo è il costosissimo invio dell’immondizia all’estero. È solo un modo per provare a evitare l’emergenza, a evitare i cumuli di rifiuti per strada. Ma per quanto tempo? Il sistema efficiente è ancora lontanissimo dall’essere realizzato. Una filiera completa e virtuosa dei rifiuti ancora non c’è. Niente impianti, niente discariche, differenziata ridicola. E su tutto l’incapacità pubblica a trovare una soluzione, realizzarla e, se necessario, imporla. Già, imporla, nel nome del bene comune che, purtroppo, spesso non è ben compreso. Non si tratta di trovare chissà cosa. Il copione, tanto per restare in tema cinematografico, è ben noto, sperimentato, su tanti "set" italiani, dove i rifiuti non sono un problema ma occasione di lavoro e di sviluppo. Da Brescia alla provincia di Treviso, dalla Val di Non ai tanti comuni "ricicloni" che viaggiano a più del 65% di differenziata, perfino in Campania. E allora davvero non ci sono scuse, ma solo colpe. Ma siamo ancora in tempo, i fotogrammi del film ancora scorrono e il finale potrebbe non essere drammatico. L’assassino è ben noto. Ci vuole solo la volontà di bloccarlo in tempo.
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