venerdì 3 giugno 2011
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Aggressori telematici: Google, il motore di ricerca più frequentato dagli utenti di Internet nel mondo, ha denunciato al Dipartimento di Stato americano d’aver subìto un attacco informatico al proprio popolare sistema di posta elettronica Gmail. Oggetto dell’assalto – sventato, secondo le dichiarazioni ufficiali – sarebbero centinaia di account di posta elettronica intestati a militari, politici, funzionari, giornalisti, personalità della vita pubblica Usa, ma anche attivisti dell’opposizione cinese e governanti di nazioni asiatiche. Le tracce elettroniche – ne riferiamo ampiamente a pagina 6 – riconducono alla città cinese di Jinan, sede di un’accademia dell’esercito dove studiano giovani talenti del software. La Repubblica popolare cinese ha già smentito, risentita per quella che considera un’accusa ignominiosa. L’aveva fatto anche l’anno scorso, quando i server di Google furono sottoposti a un altro massiccio attacco.È dunque scoccata l’ora della «guerra telematica»? Quella degli attacchi con armi digitali è da anni una minaccia reale, capace d’incidere nella vita pubblica così come in nella sfera privata dei cittadini. Probabilmente esistono in giro per il mondo autentici campi d’addestramento paramilitari dediti a raffinare le tecniche di disturbo e, se del caso, d’invasione via Internet: posto che l’elettronica controlla tutto, dai semafori alle banche, dagli aeroporti agli ascensori, non è difficile immaginare scenari foschi in questo campo (il cinema ha già provveduto a rappresentarceli). Al proposito la Cina detiene un record di tristi precedenti. Da un decennio le si imputano continue rappresaglie elettroniche contro il piccolo network telematico del governo tibetano in esilio. E da non meglio identificati "pirati cinesi" proveniva l’attacco col virus informatico Sq-Hell che anni fa mise in ginocchio la Corea del Sud. Esistono altre strade, meno clamorose ma non meno significative, con le quali un attacco informatico può gettare un intero Paese nella confusione sostituendo simbolicamente ma con assoluta efficacia intimidatoria un’aggressione militare convenzionale. A una categoria del genere potrebbe appartenere il tentativo di questi giorni. Intromissioni e manomissioni nei siti di mezzi d’informazione, uomini politici, osservatori economici, istituzioni, causano danni gravi.Di mettere in atto manovre simili sono tecnicamente in grado non soltanto governi ostili ma anche gruppi o singoli individui animati da intenzioni terroristiche o da avidità, con effetti non meno deleteri. Basti pensare alle alchimie di "finanza elettronica" che contribuiscono in maniera sensibile alle crisi economiche degli ultimi anni: strategie aggressive via computer programmate nei minimi sincronismi – in teoria non sempre illecite, nella pratica devastanti – per sconvolgere Borse, banche, assetti azionari e valutari in qualsiasi parte del mondo. Attacchi al portafogli, ma anche alla credibilità e alla fiducia collettiva. La rete mondiale Playstation Network di Sony ha riaperto proprio ieri i battenti dopo uno stop durato oltre un mese per rimediare alle violazioni di ignoti hacker. In quel "luogo elettronico" frequentato da decine di milioni di persone in tutto il mondo, e sino a ieri ritenuto tra i più sicuri, l’intrusione ha messo a repentaglio account, contenuti personali e codici d’accesso (carte di credito comprese), in una maniera che sembrava impossibile. Benché la sicurezza tecnologica sia stata ripristinata, sarà arduo medicare le ferite psicologiche dei frequentatori, vittime di questa vera e propria Pearl Harbour internettiana.Il Web merita la stessa sicurezza e fiducia che pretendiamo da qualsiasi ambiente sociale. Difficile perciò sottrarsi a questo nuovo genere di guerra, che si combatte senza spargimento di sangue ma che va a incidere negli automatismi digitali cui è ormai largamente affidata la vita di un Paese sviluppato.
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