mercoledì 26 maggio 2010
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Quale Paese saremo dopo questa manovra? Per giudicare la qualità dell’intervento approvato ieri sera dal Consiglio dei ministri uno dei criteri dovrebbe essere proprio questo: interrogarsi su quale futuro prevedibilmente ci attende nel 2012, quando si saranno dispiegati per intero gli effetti della Finanziaria. L’Italia sarà come la vorremmo? Avremo ciò che ragionevolmente desideriamo per la nostra società?Le risposte, com’è intuibile, non sono né semplici né univoche. Il ventaglio delle misure messe in campo è piuttosto eterogeneo. Ci sono riduzioni e razionalizzazioni della spesa pubblica sicuramente utili, che fanno intravedere l’intenzione di far calare il peso di una burocrazia spesso improduttiva. Si accompagnano, però, a tagli generalizzati nei bilanci degli enti locali – Regioni e Comuni soprattutto – che rappresentano un’incognita enorme per il cittadino. Quali servizi non potranno più essere assicurati? Quale sarà alla fine l’impatto sulla sanità, cioè sulla concreta possibilità di curarsi di ognuno di noi e di chi è più debole in particolare? Quali altri prelievi successivi dovremo attenderci per il riequilibrio dei rapporti tra costi e prestazioni nei diversi territori? Di certo, ci saranno coloro che dovranno misurare quali sofferenze corrono tra l’essere invalido al 74%, senza più diritto all’assegno, e all’80%, nuovo limite per godere del sussidio. E se è comprensibile che gli stipendi dei dipendenti pubblici possano essere congelati, nel momento in cui l’azienda-Paese per la quale lavorano è in crisi, è del tutto chiaro a chiunque che una tale misura non sarà senza conseguenze per chi ha entrate modeste.A questi sacrifici chiesti a buona parte degli italiani corrispondono alcune apprezzabili misure di rigore generalizzato e di moderazione dei costi delle strutture politiche, con un primo significativo intervento sulle province più piccole. Il loro peso effettivo, però, resta ancora poco percettibile, rischia di apparire simbolico agli occhi dei cittadini. Soprattutto, non appare chiara l’effettiva valenza della lotta all’evasione fiscale, il vero cancro che mina la coesione sociale del Paese. La stretta sulla tracciabilità dei pagamenti va nella giusta direzione. Mentre la sanatoria edilizia, per quanto finalizzata a portare a tassazione immobili come le case–fantasma, resta sospesa tra la correzione delle croniche lentezze del catasto e un nuovo ammiccamento ai furbi.Il vento che oggi spira dalla Grecia, alimentato dalla speculazione finanziaria, mette in dubbio la tenuta di quel castello di carta che sono, per troppi versi, i bilanci pubblici in Italia come in Gran Bretagna, in Germania come in Spagna. Soprattutto, impone a noi di mettere al riparo ciò che in Europa – e in Italia – abbiamo di più prezioso: il nostro modello sociale. Per farlo, il governo ha giustamente individuato la strada di circoscrivere il perimetro della spesa pubblica, tagliare i costi improduttivi, recuperare efficienza nel settore pubblico, responsabilizzare fortemente gli enti locali. "Un’intensa discontinuità di sistema", l’ha definita ieri il ministro Tremonti.Tuttavia, la messa in sicurezza del Paese avverrà solo se sapremo vincere la sfida della crescita economica e, insieme, del progresso sociale. Per farlo occorre darsi un orizzonte di bene comune al quale tendere, obiettivi certi e progressivi per i prossimi anni. Da subito sarebbero perciò necessari segnali di svolta per promuovere realmente la famiglia, favorire la rinascita demografica e valorizzare il lavoro. Segnali che possono venire solo collegando questa manovra a un primo modulo della tanto attesa e annunciata riforma fiscale. I sacrifici chiesti, i tagli alla spesa pubblica saranno tanto più accettati e funzionali se percepiti come la compressione dei muscoli prima di spiccare un salto in avanti. Perché altrimenti, il Paese resterà semplicemente ripiegato su se stesso.
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