sabato 23 ottobre 2010
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Napoli, dunque, è di nuovo invasa dalle immondizie. Ritorna un’altra volta – e di certo non sarà l’ultima – l’incubo di poco, pochissimo, tempo anno fa. Penso che gli amministratori di una qualsiasi città dovrebbero avere almeno le stesse doti di prudenza e intelligenza di un padre di famiglia che mette da parte i risparmi per pagare l’affitto di casa a fine mese, per non trovarsi impreparato alla scadenza. A Napoli il sindaco e gli amministratori, i responsabili della Provincia e della Regione avrebbero dovuto prevedere per tempo questo ennesimo disastro. Invece, si sono ritrovati di nuovo impreparati e per risolvere il problema hanno pensato ancora una volta alle discariche in periferia.Anche le periferie, però, hanno un’anima e sono abitate da persone con un nome e un volto. Gente che fatica e suda per tirare avanti. Gente che già sopporta il peso e il puzzo di tonnellate di immondizie e di promesse fatte dai politici e mai mantenute. Persone che non credono più a nessuno, il che è pericoloso... e non solo per i rifiuti. Questa gente ha l’animo esasperato e, non trovando interlocutori validi e credibili, è ricorsa alla violenza, cosa che disapproviamo. Disapproviamo la violenza, non la rabbia che l’ha provocata. Lo scontro, a ben guardare, è tra la città e le periferie che sono diventate il ricettacolo di tutto ciò che la città non vuole o che in città non trova spazio. A cominciare dai rifiuti urbani, ma non solo. Non è forse sotto i ponti – ormai tutti occupati – delle periferie che si riversa il popolo fantasma dei rom per il quale non vale alcuna regola del vivere civile? Non è sui sagrati delle chiese di periferia che sostano, anche nelle fredde sere invernali, i loro bambini belli, sporchi e coi piedini scalzi a chiedere l’elemosina? Mi chiedo se è solidarietà o non è piuttosto indifferenza questo nostro strano modo di fare che finge di non vedere centinaia di bambini umiliati e sfruttati.Le donne di Terzigno, il paese alle falde del Vesuvio dove si vuole costruire una seconda discarica, gridano da giorni la loro rabbia e il loro dolore. Ma i microfoni dei giornalisti hanno raccolto anche una verità che a tanti, forse, è passata inosservata: «Che altro volete da noi? – hanno urlato – Abitiamo ai bordi di una discarica, in una terra di camorra dove il lavoro non si trova nemmeno a cercarlo con il lanternino. Che altro volete ancora?». Quanta sofferenza in queste parole. Il problema è che con una seconda discarica nel Parco nazionale del Vesuvio va a rotoli anche quel poco di economia che ruota attorno al turismo e all’agricoltura.La bandiera italiana bruciata a Terzigno non è un’offesa alla patria, ma un grido da sapere interpretare. Sarebbe assurdo, falso, controproducente se lo si volesse leggere per quello che non dice. Bruciando la bandiera questa gente scoraggiata implora: «Siamo italiani anche noi, perché ci maltrattate? Perché non ci ascoltate? Perché ci rendete impossibile la vita?». La bandiera bruciata è solo esasperazione. È dire che non si può amare la patria se non ci si sente rispettati e compresi da chi la rappresenta. Addolora vedere polizia e carabinieri schierati – in terra di camorra! – non contro delinquenti e camorristi, ma contro i poveri residenti con l’immondizia ormai alla gola, mentre i responsabili di tanto scempio continuano a giocare a scaricabarile.
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