mercoledì 17 novembre 2010
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Forse il presidente Ue Van Rompuy esagera un po’ quando alludendo alla inquietante situazione del debito sovrano irlandese e dei rischi che corrono Portogallo, Grecia e Spagna parla di «crisi di sopravvivenza» per l’area dell’euro, e non per niente il presidente della Commissione Barroso si affretta a sdrammatizzare. Certo è che il contemporaneo fallimento dei negoziati fra gli Stati membri e l’Europarlamento segna uno scacco politico, ma diremmo anche morale, per quella che con lo scarso ottimismo che ci rimane ci ostiniamo a chiamare "Unione europea".Sui motivi di questo stallo si discuterà a lungo, però appare fin d’ora evidente come sia stata l’opposizione di Gran Bretagna, Svezia e Olanda al coinvolgimento del Parlamento nel processo di definizione delle risorse finanziarie (condizione peraltro prevista dal Trattato di Lisbona) a far saltare il banco. Formalmente, la ragione sembra essere un’altra: il premier britannico Cameron si è impuntato sul tetto di spesa del 2,91% per il 2011 nonostante si potesse arrivare – dati delle entrate alla mano – al 6%. «Non si può – ha detto il leader conservatore – stringere la cinghia in casa e dare aumenti all’Unione europea».Con tutto il rispetto per le istituzioni comunitarie, queste beghe sulle percentuali potrebbero scarsamente interessarci, ben sapendo che dalla maratona agricola alle quote latte ogni capitolo di spesa in Europa passa attraverso tavoli di negoziazioni, baratti, veti incrociati, tradimenti, lusinghe e promesse da fare impallidire il suk di Marrakesh. Le conseguenze di questo mancato accordo tuttavia sono rilevanti e immediatamente palpabili. Il meccanismo comunitario prevede che in casi simili si proceda in base al sistema del “dodicesimo provvisorio”, mantenendo cioè lo stesso budget dell’anno precedente – ovvero 142,6 miliardi di euro – elargito mese per mese.Che cosa comporta questo esercizio con il contagocce? Molti inconvenienti, a quanto si vede. Eccovene alcuni: a bilancio sospeso non decolleranno le tre agenzie incaricate della supervisione finanziaria; salterà il fondo di solidarietà europeo (quello, per intenderci, che a suo tempo stanziò 500 milioni per il terremoto in Abruzzo); verranno azzerate le riserve dell’Unione per gli aiuti e le emergenze per i Paesi non comunitari (ci fosse un nuovo terremoto di Haiti o una nuova alluvione in Pakistan, non si troverebbe un euro da dare in quanto non è stato stanziato nel nuovo bilancio); slitteranno i rimborsi all’agricoltura (per l’Italia si tratta di 4,2 miliardi di euro che lo Stato aveva anticipato ai nostri agricoltori e che normalmente la Commissione restituisce tra gennaio e febbraio; si profila per noi un buco di cassa di almeno 2 miliardi); rimarrà al palo il nuovo servizio diplomatico appena allestito da lady Catherine Ashton, e ci si domanda chi pagherà gli stipendi del vasto personale appena assunto, dal momento che non sono stati stanziati nuovi fondi.È un problema serio. In gioco c’è il futuro della ricerca, dell’istruzione, dell’ambiente, dell’agricoltura, dei fondi strutturali e di coesione, delle politiche per i giovani, della sicurezza. Ma a quanto pare ad alcuni leader manca la cognizione del bene comune europeo, e con essa quell’occhio lungimirante che era un tempo prerogativa di statisti come Delors, Kohl, Mitterrand, senza dimenticare peraltro il contributo assiduo e generoso dell’Italia, quale che fosse il colore politico del governo in carica. Oggi ci ritroviamo in presenza di alcuni leader affetti da miopia europea, emuli della signora Thatcher con quei suoi ripetuti ed esasperanti “no”, che per anni hanno tenuto in scacco la nascente Unione europea.Non è una bella Europa da vedere, non sembra nemmeno adulta. Non a caso qualcuno ieri a Bruxelles l’ha paragonata a un asilo infantile. Forse sarebbe ora di suonare la fine della ricreazione.
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