mercoledì 12 gennaio 2011
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In principio, eravamo alla fine degli anni Venti, a rimpicciolire Schiavio, fino a farlo diventare una figurina, ci pensò la dolciaria Zaini. La prima ragazzaglia innamorata del gioco del pallone si deliziava con le sue “cartonate” in bianco e nero. Poi passarono alle “tecnicolor”, ai primi scambi delle edizioni Nannina: «Tu mi dai un Boniperti, io un Valentino Mazzola». Ma il fascino discreto del vero spettacolo, il gioco del celò, celò, mimànca, è cominciato in provincia, a Modena, nel 1961, con il primo Album dei Fratelli Panini. Fino ad allora, per chi sognava di danzare su un campo di calcio con l’eleganza di un Schiaffino, quelle immaginette “votive” si chiamavano figurine e solo con l’avvento della Panini, divennero le mitiche «figu». Roba grossa per piccoli uomini che crescevano, lentamente, scambiandosi sogni di carta da incollare in un Album, importante quanto quello delle foto di famiglia. La tv nel ’61 era ancora in bianco e nero e la Rai battezzava il Secondo canale. «Ci si chiudeva in casa con la radio, vedevamo le partite contro il muro non allo stadio», canta Lucio Dalla. Pomeriggi di attimi irripetibili, senza fine, passati dietro a un pallone per la strada, su un campetto di periferia, all’oratorio. Poi, con una gioia sudata, si raccoglievano i maglioni stesi a terra a far da porta e grazie alla portentosa invenzione dei benedetti fratelli modenesi partiva il rito dello scambio. Celò, celò, mimànca, dolce filastrocca per la gola dei collezionisti intenti a scartare e rintuzzare la mazzetta. La prima forma di commercio, imparata sotto i banchi alle scuole elementari, prevedeva il baratto di «cento figu» per quel Gronchi rosa – rarefatto ad arte – , del Pizzaballa, che povero, ancora oggi gettando i guanti dell’ex portiere, ammette sconsolato: «Ero più famoso come figurina che da giocatore». Dallo scambio equo e non sempre solidale, si passava alla sfida olimpica a «capanna», alle sovrapposizioni soffiate dal vento della fortuna della «scalinella», allo scivolo tremulo del «muretto» o «battimuro», al golf minerario del «sassetto», da piazzare sopra la faccia spigolosa di “Maciste” Bolchi, la prima «figu» stampata dalla Panini. Alla sera, la lampada tenera e fioca della cameretta illuminava il libro di scuola, sotto al quale furtivi si teneva ben nascosto, pena ceffone, l’Album delle meraviglie da finire, spargendo colla sul campione, prima della provvidenziale e moderna soluzione adesiva. Le «figu» si sono evolute, certo, ma in tutti questi anni è come se avessero corso da ferme con le gambe muscolose delle statiche icone in calzoncini, tenendo sempre il doppio passo dei tempi, da Biavati fino a Ronaldinho. Hanno insegnato a intere generazioni che la storia di un uomo di calcio si può anche sintetizzare in peso e altezza di Gigi Riva, detto “Rombo di tuono”, scheda completa: attaccante del Cagliari, nato a Leggiuno il 7/11/1944. Molti di noi grazie a quegli Album della memoria che resiste e si fa cultura Nazionale, hanno scoperto la geografia e imparato che Atalanta non è una città, ma la squadra nerazzurra di Bergamo intitolata alla Dea greca dalle lunghe chiome che corre più veloce del vento e che la Spal è il nobile acronimo di “Società polisportiva ars et labor” fondata nel 1907, 14 anni dopo il club più antico, il Genoa. La memoria, fino a quando le squadre erano al massimo di 16 giocatori e la televisione solo un elettrodomestico piazzato nel tinello marron, è rimasta allenata al “rosario” dei nomi degli eroi della domenica, al ricordo della rovesciata simbolo di Parola, al baffo Mondiale di Beppe Bergomi. Tutto è cambiato vero, anche le care vecchie «figu». Ma una cosa è rimasta e come la magia di un gol continua a tramandarsi da mezzo secolo in qua: la passione di piccoli e grandi a riempire quell’Album che resiste alle comete modaiole dei concorrenti Pokemon, Gormiti, Ben10. Questi, ogni anno nascono e spariscono, i Panini invece resteranno per sempre. Ad ogni stagione calcistica, essi ci ricordano a che minuto siamo della partita di ex bambini innamorati del calcio, quante «figu» abbiamo lasciato in terra e quante ancora dovremo raccoglierne prima di completare l’album della nostra vita.
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