sabato 13 marzo 2010
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C’è uno sguardo che non possiamo distogliere. Anche se infuria la più grave crisi economica che abbia colpito l’economia occidentale negli ultimi decenni. Anzi, proprio perché l’Europa è alle prese con un’emorragia senza precedenti di posti di lavoro, l’attenzione che dobbiamo ai più deboli, a chi rischia di rimanere indietro senza tutele va rafforzata. Non possiamo semplicemente alzare le braccia per dire che «non ci sono soldi per fare di più». Ma ripensare i sistemi di welfare, razionalizzare le spese, assicurarci che nessuno venga lasciato a terra senza che l’intera comunità se ne faccia in qualche modo carico.Il senso della campagna «Zero poverty, agisci ora», partita nelle diocesi lombarde in collegamento con questo 2010 «Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale» sta proprio nella richiesta di non distogliere lo sguardo. Di non arrendersi a priori. Di leggere più nel profondo i bisogni della nostra società. Perché è vero che, grazie all’ampliamento degli ammortizzatori sociali, da noi la disoccupazione ha "morso" leggermente meno che altrove, si è potuta salvare una parte dei posti di lavoro. Ma la mancanza di strumenti universali di protezione dalla povertà sta lasciando scoperte porzioni sempre più ampie di popolazione. Ci sono i giovani precari ai quali i contratti non sono stati rinnovati e hanno esaurito subito i sussidi. Ex manager, lavoratori over40 espulsi da più di un anno, che non hanno trovato alcuna alternativa. E ancora, quella massa silenziosa di artigiani, commercianti, microimprenditori che le tutele del welfare non le hanno mai avute e si trovano ora coi capitali azzerati, nessun reddito e magari qualche debito da saldare.Un esercito di persone che si presenta ai Centri di ascolto per essere aiutato, che nel 2009 si è messo in fila per ricevere i contributi dei fondi costituiti nelle diverse diocesi italiane. È stato assistito, in qualche maniera ce l’ha fatta. Ma oggi – testimoniano gli operatori – torna a mettersi in fila, perché i primi contributi si sono esauriti e nulla è cambiato. La Chiesa, le associazioni, il privato sociale fanno quel che possono. Si sono raddoppiati gli sforzi, la colletta nazionale della Chiesa italiana ha permesso di avviare i "prestiti della speranza". Ma non basta, le domande superano di gran lunga le disponibilità.Le Caritas lombarde, in sintonia con quelle di tutta Europa, ieri hanno presentato un pacchetto di proposte concrete. Dalle misure contro la disoccupazione all’aumento del 50% degli alloggi popolari, dall’incremento dell’assistenza sanitaria fino all’istituzione di un reddito minimo di inserimento per chi non ha nulla. In Europa, infatti, siamo l’unico Paese, assieme alla Grecia, a non disporre di uno strumento universale di contrasto alla povertà. Dopo una sperimentazione durata 5 anni, dal 2003 l’assegno d’inserimento resiste solo in alcune Regioni, mentre a livello nazionale se ne contesta la filosofia e gli alti costi, stimati tra i 5 e i 7 miliardi di euro.Nel maggio del ’68 sui muri di Parigi si scriveva: «Siamo realisti, chiediamo l’impossibile». Oggi sappiamo bene che le condizioni dei bilanci pubblici – regionali e statale – sono assolutamente critiche, la crisi ha fatto impennare i deficit. Ma proprio il realismo verso la situazione italiana ci spinge a chiedere di fare l’impossibile, di non distogliere lo sguardo da chi è rimasto senza nulla. Perché di veramente impossibile, credete, c’è solo il voltarsi dall’altra parte quando a chiedere aiuto sono un padre o una madre che hanno perso il lavoro e rischiano anche la dignità.
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