venerdì 2 luglio 2010
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Pur indebolito agli occhi dell’opinione pubblica per non avere ancora sconfitto l’onda nera che sta devastando le coste del Golfo del Messico, il presidente Barack Obama è riuscito a portare a compimento un’impresa che, almeno sulla carta, si preannuncia storica: «La messa al guinzaglio degli speculatori di Wall Street».Semplificando all’estremo: dopo il voto della Camera, le regole del gioco nel tempio del capitalismo planetario saranno profondamente modificate. L’intento dichiarato è creare in seno alla Fed, l’Agenzia federale paragonabile alla Banca centrale europea, un organismo che tuteli risparmiatori e consumatori, fissando limiti invalicabili all’operato delle banche, che dovranno rivedere i comportamenti, giudicati da Obama «irresponsabili e spesso imprudenti». Ora, la riforma passerà al Senato (entro luglio), dove l’ultimo sì è dato per scontato. La decisione fortemente voluta da Obama merita un applauso a scena aperta. Con coraggio politico, ha posto un "alt!" categorico alla lunga stagione di ipercapitalismo selvaggio. Di riflesso, viene spontaneo chiedersi perché sulla nostra sponda dell’Atlantico – nell’Europa ove la crisi è altrettanto grave se non peggiore di quella Usa – tutto taccia. La Bce di Francoforte appare pietrificata, mentre ogni Paese di Eurolandia va per la sua strada. Solo misure-tampone, per salvare la Grecia dalla bancarotta, e scongiuri verbali nei confronti dei crac che si profilano in Portogallo e Spagna.Riassumendo: Obama, sfidando i Poteri Forti, si muove. I «nostri» governanti e banchieri stanno alla finestra, forse in attesa che la tempesta passi. Conservando imperturbabili le loro poltrone. Eppure, non avevano né visto né previsto. Semmai hanno continuato a sostenere il «tutto sottocontrollo», a dispetto dei bilanci in profondo rosso, del crollo dei titoli in Borsa, della tosatura dei risparmiatori che nel volgere di un biennio hanno visto dimezzati i loro investimenti, propagandati (come nel caso dei Fondi) quale garanzia del futuro delle famiglie. Plaudire ad Obama, dunque, ma attenzione! Nell’economia moderna, universalmente capitalistica (persino la cinese lo è), il moralismo, da non confondere con l’etica, può essere pericoloso. Spiegazione in pillole: la finanza è il motore di un sistema basato sullo sviluppo ininterrotto alimentato dalla frenesia consumistica. Guardiamo al settore immobiliare. I costruttori lavorano con i soldi delle banche; e sono ancora le banche a concedere i prestiti per i mutui. Risultato finale: poiché la "bolla dei mutui fragili" è stata l’origine dell’attuale crisi – mediamente le banche prestano dieci volte, ed anche più dei capitali di cui dispongono – quando la catena si spezza, è il crac. Altrettanto vero però che se le banche si comportassero con prudenza anziché con avidità, dovrebbero centellinare i prestiti. Ai privati e alle aziende, pure indebitatissime. In questo modo frenerebbero lo sviluppo, e inevitabilmente si ridurrebbe il tenore di vita, oggi caratterizzato dal «passo più lungo della gamba». Poiché tutto si compra a credito. Gli americani hanno un record assoluto in materia: indebitati dalla culla alla bara.In un simile contesto, il risanamento dell’economia nei Paesi più avanzati, non può che passare dall’affermarsi di una nuova filosofia sociale basata sulla parsimonia nei consumi, il ridimensionamento del superfluo e la ricerca della crescita (con i suoi risvolti occupazionali), nella solidarietà con le Nazioni meno favorite del Pianeta.È questo che ha in testa Obama? C’è da augurarselo. Altrimenti, la riforma appena varata seguirà le sorti di quelle che l’hanno preceduta dall’Ottocento in poi, dopo ogni crac di Wall Street. Infatti la finanza, con i suoi diabolici comportamenti, sempre è riuscita, autentica fenice capace di risorgere dalle proprie ceneri, ad aggirare le leggi, per inseguire il mito del profitto. C’è pertanto da augurarsi che Obama, oltre a deprecare e punire, realizzi un nuovo modello di capitalismo. Dal volto umano e sociale. È una speranza, anche per l’Europa.
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