sabato 14 aprile 2018
L’uso improprio che è stato fatto di simboli cristiani per accaparrarsi consenso e voti sta a significare che ancora si attribuisce loro un ampio potenziale di attrazione e di senso
E ora ricominciamo dall'universalità
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Si sta parlando non poco, dopo il 4 marzo, della consistenza del voto dei cattolici, cercando di interpretare la direzione che questo avrebbe presa e notando, comunque, la evidente irrilevanza di risultati ottenuti dagli esponenti cattolici sparsi qua e là nelle varie formazioni politiche, la loro frammentazione e, in definitiva il loro scacco quantomeno politico.

Da parte sua, anche in una recente intervista televisiva, il direttore di questo giornale ha sottolineato il grande e aumentato impegno sociale dei cattolici stessi e la disaffezione di tanti tra loro per una classe politica (e per 'case' politiche) verso cui essi non nutrirebbero stima e dalle quali non si sentirebbero rappresentati – cosa, noto, che potrebbe essere provata anche dall’aumento di due punti percentuali di un astensionismo al 73%, per l’Italia dato assai significativo –, mentre Francesco D’Agostino ha sostenuto che sia finito il tempo dell’azione diretta, normativa, dei cattolici in politica, dinanzi al compito, più urgente e rifondativo, di ripensare e radicare valori e visioni del mondo.

Entrambe le considerazioni toccano il cuore del problema 'cattolici e politica', sottolineando l’una la disaffezione di chi non si sente riconosciuto nelle proprie istanze culturali ed etiche, avvertendo, dunque, di non essere rappresentato politicamente, e l’altra nell’evidenziare la necessità che i cattolici affrontino con vigore, anche in ragione di questo evidente scollamento, un percorso di profondo ripensamento identitario. Il quadro che esce dalle due analisi è, a mio parere, duplice: di spaesamento e lontananza dei cattolici nei confronti del costume dominante in politica, e, contemporaneamente, di offuscamento della propria essenza identitaria.

Questa duplice situazione, apparentemente contraddittoria, mi pare richieda un tentativo di approfondimento, se non altro circa l’opportunità dell’uso del termine 'cattolico' e del senso con cui viene impiegato nel discorso politico, quasi esclusivamente in contrapposizione a 'laico'. L’ottica sottostante rivela la natura strumentale con cui abitualmente il termine è usato e implicitamente condiviso nella stessa autopercezione dei cattolici. L’universalità insita in questo uso di 'cattolico', è, infatti, del tutto assente, poiché ci si riferisce, al contrario, a un settore chiaramente delimitato di italiani definito per contrasto e non, come dovrebbe essere, per un’affinità estensibile a tutti.

Questa distorsione trae certo alcune ragioni dall’impossibilità, per un cristiano, di aderire totalmente a un progetto politico, nei confronti del quale, tuttavia, egli ha la precisa responsabilità di esprimere la propria adesione o contrarietà, sempre consapevole della 'parzialità' di progetti per definizione incapaci di esaurire ed esaudire tutte le prospettive e gli ideali del cristianesimo. Tuttavia, l’inerzia politica, la disattenzione verso la portata sociale di una maggiore o minore giustizia economica e di sviluppo personale e collettivo, l’incapacità colposa nel comprendere gli inevitabili mutamenti epocali di costume – e dunque di relazioni umane destinate a disumanizzarsi – che normative presentate apparentemente per sanare situazioni pietose possono veicolare, sono da leggersi, per i cristiani, come un atteggiamento di chiusura all’interno del proprio orto di interessi privati e di egoistico disinteresse verso la cosa comune.

Come diceva parecchi decenni fa Hans Urs von Balthasar, chiedendosi chi fosse il cristiano, questi è colui che ha Dio davanti a sé e non alle spalle, colui che è cattolico perché consapevole di avere a disposizione un tesoro che non è di sua proprietà, ma a disposizione di tutti e da tutti condivisibile nella sua proposta di senso, nella sua lettura antropologica. L’avere Dio dietro le spalle per dialogare prima con il mondo, non permette alcun vero incontro con i 'laici' perché invece di aprire alla condivisione generosa del tesoro, rivela o un atteggiamento che scambia oro per bronzo fino a perdere la propria eredità, o dà per scontato che questa sia proprietà privata, impossibile da condividere, dunque non cattolica. In questo momento di crisi della presenza pubblica dei 'cattolici' nell’arena politica italiana, sarebbe bene ricordare che l’uso improprio che è stato fatto di simboli cristiani per accaparrarsi consenso e voti sta a significare che ancora si attribuisce loro un ampio potenziale di attrazione e di senso. Ma i cattolici ne avranno dimenticato l’universalità?

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