E Mistero ritrovò sua mamma (ciò che dovrebbe esser sempre)
mercoledì 5 aprile 2023

In Turchia i media l’avevano soprannominata Gezim, Mistero. Una bambina di tre mesi e mezzo era rimasta sotto le macerie del terremoto del 6 febbraio scorso per ben 128 ore, e poi era stata recuperata dai soccorritori. Salva dopo cinque giorni nel buio, senz’acqua, senza latte, al freddo. Vetin Begdas era il vero nome della bambina, ritrovata nella provincia di Hatay. La mamma, l’avevano data per morta insieme al papà e a due fratellini. La bambina chiamata Mistero pareva rimasta sola al mondo, nella tragedia che ha fatto più di 57mila vittime tra Turchia e Siria. Ma, è accaduto qualcosa di straordinario: nel confronto del Dna della neonata con quello di una superstite ricoverata in un ospedale di Ankara, è scattato sui computer della Sanità nazionale ciò che viene detto “match”: i Dna combaciavano, la bambina aveva ritrovato sua madre. Una madre che si credeva rimasta sola al mondo, perso il marito, persi i tre figli. Invece due mesi dopo su un aereo atterrato ad Ankara c’era una bambina avvolta in una tutina rossa, in braccio a un’assistente sociale.

Una grande commozione trapela dai pochi secondi di un video in lingua turca, dove tuttavia non c’è alcun bisogno di traduzione: una figlia creduta persa viene restituita alla madre, medici e infermieri attorno applaudono, la donna chiude gli occhi e si stringe la neonata addosso, in un abbraccio che vorrebbe essere infinito. Poche ore dopo un altro bambino di pochi mesi, Musa, con la stessa tecnica genetica è stato restituito alla mamma. Straordinario, pensi, che in un Paese avanzato ma non progredito come l’Occidente, colpito da un terremoto devastante, una volta estratti i superstiti, curati i feriti e seppelliti i morti, ci sia stato il tempo di analizzare il Dna dei bambini trovati fra le macerie.

Di confrontarli con quelli di migliaia di donne, ricoverate in città diverse e lontane. Già quasi era incredibile che una neonata fosse sopravvissuta a cinque giorni d’inferno; che adesso sia tornata con sua madre sa, più che di mistero, di miracolo. I due mesi in ospedale di quella donna, pensate: aveva perso tutto, il suo uomo, i bambini. Di notte, in sogno, forse li vedeva ancora. Con la luce del giorno però, al risveglio, ogni mattina tornava ad affacciarsi su quella voragine di lutto. Come faceva a continuare a respirare, a mangiare, a vivere? Ma la bambina chiamata Mistero (c’è in quel soprannome l’orma di una religiosità popolare, di un chinare la testa di fronte a un disegno non nostro) è tornata. Che cos’è per una madre ritrovare una figlia perduta? «La fanciulla non è morta, ma dorme», dice Gesù a Giairo e alla madre di una bambina, che già tutti attorno piangono. A quelle parole si è attaccata l’affannata preghiera, il sogno disperato di quante madri orfane dei figli, nei millenni.

E certo, si intravede un po’ di propaganda nel lungo discorso del ministro turco che celebra Gezim come «figlia di tutti noi»: intanto le macerie restano dove sono, gli sfollati affrontano il freddo nelle tende e decine di migliaia di famiglie hanno perso lavoro e ogni altro mezzo di sostentamento. Nella tragedia, tuttavia, quei due bambini sono un segno. Della ostinata volontà di vivere degli uomini, della resistenza cocciuta che oppongono alla morte – la straniera, la nemica. «Dio non ha creato la morte e non gode per la rovina dei viventi», si legge nel libro della Sapienza.

La tensione che attraversa questa vicenda sembra attingere, pure in un Paese a grande maggioranza musulmana, a tempi remoti, anteriori alla storia e alle religioni rivelate: a una volontà di vivere stampata negli uomini, dal principio. Sepolta sotto le rovine, la bambina chiamata Mistero, proprio come il suo “gemellino di terremoto” Musa, è rinata un’altra volta, quasi partorita dalla terra. E quando l’hanno rimessa fra le braccia di sua madre, per un istante, almeno in una stanza d’ospedale, in un Paese devastato qualcosa è tornato in ordine. Qualcosa almeno al suo posto: una bambina con la sua mamma – come dovrebbe essere sempre.

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