Dopo i lunghi e dolorosi giorni degli eroi
martedì 9 giugno 2020

Tocca agli eroi, o tocca a noi? Nella traversata della quarantena nazionale (e globale) ci ha fatto buona compagnia il pensiero che “là fuori” fosse spuntato dalle pieghe del Paese un esercito di bene capace di estrarre competenze, energie e risorse morali sulle quali inconsapevolmente sappiamo di poter fare affidamento sempre e che con l’Italia alle corde, per qualcuna delle ricorrenti emergenze che ci colgono puntualmente di sorpresa, si schiera come se fosse sempre mobilitato. È un fenomeno che abbiamo visto ripetersi una volta ancora, ma su una scala mai vista: quando c’è bisogno, tanti tra noi sanno come fare, e lo fanno in maniera eccelsa, esemplare. Vedono dov’è necessario intervenire, e se trovano un ostacolo, un’ostruzione creata in tempi di quiete nell’indifferenza generale, li rimuovono o li aggirano con determinazione, inventiva e non di rado risultati senza pari. La pandemia ha acceso ancora, al massimo grado, questa capacità di generare opere e soluzioni a vantaggio degli altri.

Come se la scintilla scoccasse proprio quando si scorge che c’è un bisognoso che chiede più ancora che capacità tecniche occhi per vederlo e mani generose per trarlo dalla sua condizione. L’unità di intenti di un Paese intero dietro l’avanguardia di professionisti e volontari all’altezza del Samaritano è stata come la conseguenza naturale del dispiegamento immediato di questi italiani per il bene: ci siamo sentiti rappresentati da loro, molti di noi ne hanno anche fatto parte, per una porzione piccola o estesa del viaggio che abbiamo percorso dal divampare del contagio a oggi.

E chi è rimasto al balcone ha sentito che con loro impegnati per mettere argine agli effetti del contagio c’era in campo anche una parte di sé, la più limpida, affidabile e rincuorante. Ci siamo guardati allo specchio trovandoci molto migliori di quel che si credeva, non rancorosi o impauriti, come ci descrivevano crudamente le più recenti radiografie demoscopiche della nostra società, ma capaci di vedere la ferita altrui, la necessità di tutti, il vantaggio della comunità, e di preferire la sua cura che la coltivazione del nostro interesse, al quale pure il convergere di ideologie economiche, sociali ed etiche di conio individualista (moneta falsa che vuole scacciare quella buona) ha cercato di indurci con ogni arte seduttiva.

Anche le pesanti privazioni cui tutti sono stati sottoposti, e che hanno prodotto una diffusa situazione di patimento e angoscia per il futuro, è stata accettata come un effetto inevitabile di una battaglia cruenta combattuta da tanti al fronte per nostro conto. Ad amplificare l’effetto di coinvolgimento collettivo si è aggiunta l’evidenza che non ai soli medici e infermiere andava la nostra riconoscenza ma anche alla schiera di persone anonime delle quali è affiorata, talora quasi per caso, la vicenda umana di dedizione alle necessità altrui, storie e nomi che la cronaca ha portato sul proscenio per una sola giornata e che nella loro somiglianza alla nostra stessa vita hanno consolidato l’idea che fossimo tutti chiamati in causa, coinvolti ciascuno per la propria parte nella vicenda di tutti. E se è stato naturale definire “eroi” quelli che abbiamo scorto là davanti, l’abbiamo fatto sapendo che in realtà loro sono noi, donne e uomini di ogni condizione e mestiere che fanno quel che devono senza sconti e furbizie, pronti a pagare di persona, permettendoci di tagliar corto una buona volta con la sfiducia che ci è purtroppo diventata molesta compagna di viaggio.

Riconoscendo pubblicamente la loro testimonianza civile, resa con mesi di impegno senza sosta o con un solo gesto di lampante generosità, il presidente Mattarella ha messo la firma a nome di tutti in calce a un romanzo popolare del quale dobbiamo custodire la memoria come un lascito prezioso, tra tanto dolore, dei mesi che abbiamo varcato. Non lasciamoci distrarre dal riaffiorare di divisioni, polemiche, scetticismi, egoismi personali e di corporazione: sappiamo che siamo molto migliori di come ci vediamo quando a dettare l’umore nazionale è solo l’apparenza di contese, egoismi, pusillanimità.

Ma la condizione per affrontare con passo sicuro la nuova traversata in una terra incognita che ci attende è che quel che di eroico ci siamo riscoperti dentro come riflesso della testimonianza condivisa di tanti diventi parte di un nuovo stile di quotidianità capace di speranza, riconciliata con gli altri, che si riscopre ricca ogni mattina della parte migliore di quel che ci costituisce come persone, cittadini, per molti anche come credenti. Non sono più i giorni degli eroi: ora tocca a noi.

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