mercoledì 15 agosto 2012
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Mentre il veicolo Curiosity va cercando tracce di vita marziana, le domande sull’esistenza di intelligenze extraterrestri non cessano di incalzarci. A livello popolare sembra che la maggior parte della gente creda che la nostra non sia l’unica civiltà esistente nell’universo, e anche molti scienziati propendono per questa ipotesi. Anzi sulla base di certe equazioni di carattere statistico, ma assai plausibili, pare che queste civiltà debbano essere numerosissime, eppure non ne vediamo alcun segno. Dato il tempo lunghissimo che hanno avuto per svilupparsi, le civiltà più antiche avrebbero dovuto colonizzare la nostra Galassia ed essersi manifestate da milioni di anni. Ma non è così. Dove sono allora tutti questi alieni? Questa domanda va sotto il nome di 'paradosso di Fermi' perché, secondo un aneddoto che risale al 1950, fu il celebre fisico italiano a formulare il quesito in questi termini. Nell’estate di quell’anno Fermi si trovava a Los Alamos e commentava scherzosamente, a pranzo con Edward Teller, Herbert York ed Emi Konopinski, l’ondata eccezionale di avvistamenti di dischi volanti che si era avuta in quei mesi. Poi, di punto in bianco, Fermi chiese: «Dove sono tutti quanti?», sottintendendo gli alieni. Si noti che il paradosso, cioè la contraddizione tra l’altissima probabilità che esistano altre civiltà e l’assenza di loro segni non implica affatto che quelle civiltà non esistano: se in mezzo alla folla non vedo Tizio questo non dimostra che Tizio non c’è. Naturalmente l’assenza di tracce può essere spiegata anche con il fatto (per alcuni agghiacciante, per altri confortante) che siamo soli nel vasto universo. Ma è solo una delle spiegazioni possibili. Nel 2002 il fisico teorico Stephen Webb pubblicò un libro, tradotto in italiano dall’editore Sironi con il titolo «Se l’Universo brulica di alieni... dove sono tutti quanti?», in cui presentava ben cinquanta soluzioni del paradosso fornite negli anni da scienziati e scrittori di fantascienza (bravissimi a costruire scenari del possibile). La prima soluzione della rassegna è sorprendente: gli alieni sono già qui e sono gli ungheresi. E fu proprio un famoso fisico ungherese, Leo Szilard, che lavorava a Los Alamos ai tempi di Fermi, ad avanzare scherzosamente questa risposta, corroborata dalla presenza negli Usa di altri tre o quattro magiari dalle doti intellettuali davvero straordinarie: Edward Teller, Eugene Wigner, Theodore von Kármán e, sopra tutti gli altri, John von Neumann. Ecco altre risposte del capitolo «Sono qui»: gli alieni siamo noi; ci visitano in continuazione con gli Ufo; ci hanno visitato e hanno lasciato molte tracce. Poi ci sono le risposte del capitolo «Esistono ma non hanno ancora comunicato»: le stelle sono troppo lontane; non hanno avuto ancora il tempo di raggiungerci; ci inviano segnali, ma non sappiamo come ascoltarli; non hanno nessun desiderio di comunicare; riceviamo i loro segnali ma non riusciamo a riconoscerli. Naturalmente, c’è anche il capitolo «Non esistono»: noi siamo la prima civiltà; i sistemi planetari sono molto rari; i pianeti rocciosi sono pochissimi; la genesi della vita è un fenomeno raro; poche specie si fabbricano gli strumenti; il progresso tecnologico non è inevitabile; la scienza non è un evento obbligato; l’intelligenza umana è una caratteristica unica. Stimolati dalla curiosità, spinti dall’inesausto desiderio di sapere, gli scienziati hanno cominciato ad ascoltare la nostra galassia con schiere di radiotelescopi, dando origine al programma Seti (ricerca di intelligenze extraterrestri). Proposto nel 1960 e nato ufficialmente nel 1974, finora Seti non ha prodotto alcun risultato apprezzabile. Ma alcuni sperano sempre di ricevere, un giorno, un messaggio dal cielo.
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