Migranti e disabili: doppiamente invisibili eppure ad alto valore umano

Sono vittime di un duplice svantaggio. E combattono quotidianamente contro il pregiudizio e le difficoltà fisiche. Il progetto "CiSiamo" sa valorizzare il loro patrimonio di esperienza
September 3, 2025
Migranti e disabili: doppiamente invisibili eppure ad alto valore umano
ANSA | Sulla Ocean Viking sbarcata a Bari nel 2023 c’erano anche due disabili
Pedro è un giovane originario di un Paese latino-americano, arrivato in Italia quand’era poco più che bambino sulle orme della mamma che, grazie al suo lavoro di collaboratrice domestica, gli aveva preparato la strada. Costretto su una sedia a rotelle a causa di una grave disabilità, Pedro ha dovuto subito fare i conti con un problema ancora oggi molto diffuso: l’indisponibilità dei proprietari di case ad affittare agli immigrati. Tra le diverse giustificazioni, la più fantasiosa e sconcertante è che il rumore delle ruote avrebbe dato fastidio ai vicini! Per anni, non avendo l’ascensore, Pedro ha fatto su e giù dalle scale “col sedere” (come dice lui), prima di ottenere un alloggio popolare grazie a un’organizzazione di advocacy che gli ha spiegato che in Italia le persone con disabilità godono di tutele speciali e hanno il diritto di saltare le lunghe liste di attesa. Quando utilizza i mezzi pubblici per recarsi al lavoro, non sempre trova le piattaforme elevatrici funzionanti. E tuttavia, sostiene che a Milano si può andare dappertutto, diversamente da quanto avviene nel suo Paese d’origine dove per le persone con disabilità non esiste ancora oggi praticamente nulla, ricordandoci il privilegio di essere nati in una nazione europea.

Jonas, come molti altri migranti fuggiti dal Corno d’Africa, ha ottenuto lo status di rifugiato con relativa facilità; la sua condizione di non vedente lo avrebbe comunque automaticamente incluso tra quanti sono considerati meritevoli di una protezione speciale. Approdato nell’affollato sistema di accoglienza per richiedenti asilo, non è riuscito a frequentare le lezioni di italiano perché, racconta, non c’era nessuno ad accompagnarlo dove si teneva il corso. Dopo anni di soggiorno in Italia continua ad avere difficoltà nell’esprimersi nella nostra lingua. Probabilmente anche per questo non è ancora riuscito a trovare un vero lavoro, a dispetto della sua formazione post-universitaria e della sua menomazione sensoriale, tra le meno “problematiche” per le aziende soggette all’obbligo di assumere una certa percentuale di disabili.

Quelle di Pedro e Jonas (nomi di fantasia) sono due storie diverse, al pari delle innumerevoli storie delle persone con disabilità e background migratorio: diverse per età, genere, origine nazionale, status migratorio, livello di istruzione… ma assai spesso accomunate dall’essere vittime di un duplice svantaggio: quella che oggi è d’uso chiamare “discriminazione intersezionale” che deriva dalla somma delle difficoltà connesse all’essere immigrato e dall’avere una disabilità. Non esistono sistemi istituzionali in grado di produrre statistiche attendibili su questo gruppo sociale, ma possiamo tentare di quantificarne il numero complessivo applicando il tasso di persone con disabilità nella popolazione generale alle stime relative al volume dei migranti internazionali, arrivando a contare, a livello globale, decine di milioni di migranti con disabilità, oltre 18 milioni solo tra i migranti forzati. Sebbene la necessità di prestare attenzione a questo gruppo sociale sia stata più volte riconosciuta a livello nazionale, europeo e internazionale, l’universo delle persone con disabilità e background migratorio si presenta come particolarmente complesso ed eterogeneo e, anche per tale ragione, come altrettanto sfidante per tutti gli attori implicati nella governance dei processi migratori, di accoglienza e di integrazione.

Com’è noto, le migrazioni sono per loro natura un fenomeno selettivo, così che sono soprattutto i soggetti nelle migliori condizioni fisiche e di salute a partire. Tuttavia, non sono rari i casi in cui le menomazioni sono acquisite durante il viaggio, specie nelle situazioni di sfollamento forzato e di chi percorre tratte particolarmente pericolose, che fatalmente possono portare non solo a traumi difficili da superare, ma anche a vere e proprie disabilità conseguenti a incidenti, torture, abusi. Al tempo stesso, i sistemi di welfare possono costituire, al di là delle loro criticità, un fattore attrattivo per quelle famiglie che, avendo al proprio interno uno o più componenti con disabilità, farebbero qualsiasi cosa pur di offrire loro l’assistenza e le opportunità impensabili in molti Paesi del c.d. “Sud globale”. Infine, le condizioni di vita e di lavoro di molti immigrati, impiegati in mansioni spesso pericolose e usuranti, li sovraespongono al rischio di incorrere in incidenti anche gravi e malattie croniche e invalidanti. È dunque facile attendersi che sempre più spesso ci si troverà, anche in Italia, a rispondere ai bisogni e alle aspettative di persone che assommano gli svantaggi collegati alla disabilità con quelli tributari del background migratorio che, nel nostro Paese, significa molto spesso avere un basso status economico e culturale. Tra i pochi dati disponibili, quelli riferiti al sistema scolastico ci dicono effettivamente di una incidenza di studenti con disabilità significativamente superiore tra gli alunni con cittadinanza non italiana (5%) che non tra gli italiani (3,5%).

Come ci rammenta la Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità, quest’ultima si costruisce nell’interazione tra persone con menomazioni e il complesso delle barriere comportamentali e ambientali. È dunque intuibile perché il rischio di essere esclusi da ambiti significativi della vita sociale (a partire dal lavoro) che “normalmente” scontano le persone con disabilità si amplifichi nel caso degli immigrati e dei loro figli, notoriamente sovrarappresentati all’interno delle fasce più vulnerabili della popolazione, oltre che penalizzati dalle barriere linguistiche e dalla scarsa familiarità con la società italiana e i suoi codici culturali e comunicativi. Per di più, tanto gli operatori dei servizi pubblici quanto quelli impegnati nelle organizzazioni solidaristiche sono spesso inconsapevoli della situazione e dei bisogni specifici delle persone con disabilità e background migratorio, o comunque impreparati a rispondervi in maniera efficace. La sostanziale invisibilità di questo gruppo si traduce dunque nella sua discriminazione implicita, non intenzionale ma altrettanto rilevante. Accade così che nella costruzione delle politiche per la disabilità si sottovalutino aspetti quali la provenienza geografica e le differenze linguistiche e culturali; così come, nell’universo di attori impegnati a sostenere i migranti, il tema disabilità è poco considerato e trova risposte decisamente insufficienti: emblematica, in tal senso, la desolante insufficienza di strutture d’accoglienza idonee a ospitare richiedenti asilo con disabilità.

È questo il quadro che fa da sfondo al progetto CiSiamo (www.ismu.org/progetto-ci-siamo/), realizzato da Fondazione Ismu in collaborazione con Ledha (Lega per i diritti delle persone con disabilità) e Caritas Ambrosiana nella scia di uno studio preparatorio promosso dall’Università Cattolica, ateneo che ospiterà, lunedì 15 settembre, il convegno finale che sarà anche l’occasione per ascoltare alcune testimonianze emblematiche degli immigrati con disabilità. Come appunto evoca il titolo scelto per il progetto, ancorché vittime di una invisibilità che concorre a oscurarne i bisogni, limitarne l’accesso ai servizi, ostacolare la segnalazione degli episodi di discriminazione, inibire la valorizzazione del loro potenziale, i migranti con disabilità ci sono. E sono in grado, come questo progetto ha voluto dimostrare, di sollecitare risposte innovative, costruite dal basso imparando dalle situazioni concrete (come quelle di Pedro e Jonas) e valorizzando lo straordinario patrimonio di conoscenze, esperienze e sensibilità di cui sono depositari tanto gli operatori dei servizi, quanto le stesse persone a rischio di esclusione. Con l’ambizione di promuovere un salto di qualità nella capacità di corrispondere ai bisogni e alle potenzialità di una società sempre più eterogenea. E di trasformare la vulnerabilità in valore aggiunto.

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