domenica 15 marzo 2009
COMMENTA E CONDIVIDI
Caro Direttore, chi difende i minori in Italia? Non i tribunali dei minori che sono obsoleti e macinano sentenze tutte uguali che non tengono mai in considerazione il bene del bambino, il quale dovrebbe occupare il primo e più importante posto in qualsiasi discussione; sentenze che seguono i « diktat » di apprendisti psicologi e assistenti sociali senza preparazione e capacità. Non le leggi sull’aborto e sul divorzio, fatte da adulti per adulti ( che privano i figli della loro infanzia e spensieratezza per prolungare la propria « adolescenza » ). Si dà più importanza a cose materiali come il mantenimento di un tenore di vita o di una casa, che per il minore non ha alcun valore se in essa manca uno dei genitori ( molto frequentemente il padre). Il governo deve darsi da fare urgentemente perché i diritti dei minori vengano riconosciuti e difesi e trasformare in realtà il sogno che la ex presidente del tribunale dei minori di Roma, Simonetta Matone, ha espresso in una recente intervista: « Sogno la possibilità di creare anche in Italia la figura dell’autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza come accade in tutti gli altri Paesi d’Europa; andrebbe costituita al di fuori dei soliti schemi di assegnazione dei posti, bisognerebbe cioè che il garante fosse davvero una persona libera da ogni tipo di legame col potere politico e giudiziario » .

Irene Rinaldi, Roma

La figura di tutela alla quale si riferiva la dottoressa Matone è quella del «Garante nazionale per i minori», prevista dal Commento generale n° 2 del Comitato Onu sui diritti dell’infanzia emanato il 31 gennaio 2003 e concernente appunto il «ruolo delle istituzioni nazionali per i diritti umani in materia di promozione e protezione sui diritti dell’infanzia», così come previsto dall’art. 18 della Convenzione. Si tratta di una figura super partes contemplata dalle legislazioni di vari Stati fra cui Francia, Portogallo, Polonia, Danimarca, Norvegia, Islanda, Svezia (dove l’istituzione del primo Garante nazionale per l’infanzia risale addirittura al 1809). In Italia – come del resto in Germania e Spagna – si è scelta invece l’opzione regionale. Varie Amministrazioni locali – fra cui Veneto, Emilia-Romagna, Lazio, Marche, tutte con la medesima intonazione – hanno scelto di creare uffici di garanzia per l’infanzia col fine di proteggere le persone minorenni dagli abusi di potere da parte della legge. Scorrendo le finalità di questi enti si legge, per esempio nel sito del Consiglio Regionale del Lazio, che «... Si è preferito l’uso del termine 'garante' piuttosto che quello di 'pubblico tutore' o 'difensore civico del minore' per evitare confusioni concettuali e sovrapposizioni di ruolo con figure istituzionali (avvocati e rappresentanti del bambino come il tutore, il curatore speciale, il genitore) che non possono e non devono essere sostituite dal garante. Il garante ha natura pubblicistica e il suo campo di attività si colloca sul versante della promozione dei diritti dei bambini e degli adolescenti per assicurarne 'la piena attuazione'». Lo scopo, insomma, è quello di vigilare. Senz’altro lodevole, ma vigilare in nome di che cosa? Questa è la domanda che sorge dinanzi alle sue legittime e gravi domande. Oggi, la questione dell’infanzia e della sua tutela è qualcosa che va ben al di là della pur doverosa necessità di promuovere campagne d’informazione. Avere consapevolezza che esistono diritti fondamentali è importante, ma non basta. Le istituzioni tutte, da quella familiare a quella scolastica fino alla Giustizia, quale autorità morale possono svolgere, oggi, nel pieno di una crisi che le investe tutte, perché è una crisi di valori, di civiltà, di umanità? Certo il silenzio è complice, per esempio nella vergogna degli abusi familiari, che si alimentano di rassegnazione e omertà. Ma non bastano gli strumenti (pur indispensabili) quando il «marcio», per usare la celebre immagine di Shakespeare, è in profondità. Una cultura libertaria non rende liberi, quando i valori umanistici che incarnano il vero bene della persona rimangono lettera morta o rischiano, addirittura, di essere depennati dai nostri Codici e dalle nostre radici. Quando gli adulti, e parlo in astratto, continuano talora le loro sporche vertenze scaricandole sui figli, e facendo assumere ai figli stessi la figura inedita di «ostaggi parentali». La saluto.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI