mercoledì 3 marzo 2010
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È curioso, ma forse non casuale, che il dibattito fra credenti e non credenti che abbiamo ospitato nelle settimane scorse su Agorà mettendo a confronto personalità di vario orientamento abbia coinciso con la discussione sulla funzione oggi degli intellettuali riaperta dal recente pamphlet di Pigi Battista. Se è vero infatti che i chierici d’Europa oggi si mostrano stanchi e, dopo avere chiuso con le ideologie della guerra fredda, tendono a praticare un diffuso conformismo, povero di progettualità, di idee e di ideali, ciò non significa che l’appiattimento a una cultura monocorde o il cedimento verso l’indifferenza al sacro o ai valori siano una necessità incondizionata. Non in tutti prevale la volontà di gridare ingenuamente all’ateismo spensierato, emulando Onfray e Hitchens e ripercorrendo così le orme di quel «nichilismo gaio» denunciato da Del Noce. È vero, di fronte a un certo laicismo esasperato viene da contrapporre la solitudine degli ultimi anni di Norberto Bobbio: il vecchio saggio fece sentire la sua voce contro il mondo dei fondamentalismi religiosi, ma anche contro il nichilismo, esprimendo forti dubbi sui rischi della tecnoscienza. Oggi siamo passati da Bobbio a Odifreddi, Pievani o Galimberti. Che esprimono quasi sempre – va detto con rammarico – un livello davvero basso della provocazione e non la richiesta di aprire una discussione anche franca, ma seria e profonda.Più laicità, meno laicismo: è questa in estrema sintesi la richiesta emersa nel nostro dibattito che ha visto una ventina di voci esprimersi liberamente nello spazio che abbiamo aperto ispirandoci a Papa Benedetto e all’immagine del «cortile dei gentili». E va detto che fortunatamente esistono anche intellettuali seri (da Natoli a Bodei, da Veca a Galli della Loggia, da Cacciari a Erri De Luca, da Sofri alla Spinelli), con posizioni magari non sempre condivisibili ma stimolanti; pensatori non credenti con i quali dialogare su temi divenuti cruciali: l’accoglienza dell’altro e del diverso da noi; la riflessione etica nei comportamenti, nella politica e nell’economia; il riproporsi in tutta la sua drammaticità della questione educativa, spesso snobbata dopo decenni di malinteso sessantottismo; l’invasione della tecnoscienza nella vita quotidiana e i rischi connessi alle biotecnologie e all’intelligenza artificiale. Anche da parte di chi ha fede, è fondamentale avere interlocutori credibili e punti di riferimento laici che a loro modo non abbiano paura di cercare la verità, che anzi pungolino i credenti come faceva Albert Camus, non disposto a rassegnarsi dinanzi all’ingiustizia e alla sofferenza, dinanzi alle «pesti» vecchie e nuove.Insomma, se le ideologie sono cadute, non per questo i laici devono rinunciare ad avere valori forti, per i quali è possibile spendere la vita. La sfida della virtù quotidiana, dell’esercizio della pietas contro ogni barbarie e disumanizzazione tocca tutti, uomini di fede e no. In questo senso è un compito verso il quale nessuno può ritenersi estraneo la moltiplicazione di spazi di confronto, superando contrapposizioni e irrigidimenti che spesso riaffiorano, come il trascorso anno darwiniano ha testimoniato. E qui va anche detto che alcune espressioni di fondamentalismo emerse in campo cattolico non sempre hanno favorito il dialogo. Una certa dose di umiltà intellettuale, anche per chi è credente, non fa mai male. Infatti, «se la fede dà una marcia in più», come ricordava Giuliano Amato nell’intervista rilasciata a Lorenzo Fazzini, essa non ci rende uomini superiori agli altri.Per tornare infine al tema più generale degli intellettuali, crediamo che ogni discorso che oggi li riguardi non possa prescindere da due condizioni: l’impegno nella società per denunciare i mali (e il Male) e l’ancoraggio alla trascendenza, o quantomeno a un’autotrascendenza, vale a dire il riconoscimento di un senso del limite del desiderio di onnipotenza dell’uomo.
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