Caro direttore,
sono trascorsi ormai quasi cinque anni da quell’11 ottobre 2016, giorno in cui l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa votò contro il rapporto De Sutter sull’utero in affitto per soli 6 voti di scarto, grazie al mio impegno e a quello di altri parlamentari della delegazione italiana. La nostra fu una battaglia di civiltà che servì per bloccare un processo di legittimazione di una pratica aberrante. Si aprì un dibattito acceso e molti esponenti del Pd, partito in cui militavo, mi accusarono di essere “di destra”. Ebbene, a distanza di tempo, anche alla luce di quanto sta avvenendo con il ddl Zan, è per me motivo di orgoglio oggi militare nella Lega che non arretra di un passo rispetto a valori imprescindibili che riguardano la vita e le libertà fondamentali. Ricordo molto bene gli insulti ricevuti sui social da esponenti lgbt e dei Sentinelli a seguito di una lettera dei giovani di “Diritti democratici” a me indirizzata per aver osato dire che «il legame tra mamma e figlio dura per tutta la vita». Mi accusarono di essere «violenta» e di averli «discriminati» solo per avere pubblicato una foto mentre allattavo mia figlia e per aver espresso un giudizio negativo sull’utero in affitto. Infatti, ciò che più mi preoccupa del ddl Zan è che un’opinione come la mia, espressa in modo democratico e rispettoso, venga messa sotto processo. Quello che allora mi scrissero i ragazzi di “Diritti democratici” è l’essenza stessa di passaggi chiave della proposta Zan: «Ciò che non permettiamo e non permetteremo a chiunque, è che un’opinione libera, per quanto si voglia, ma disinformata, priva delle adeguate conoscenze scientifiche, politiche e sociali, possa in modo strumentale diventare una regola da abbattere in modo discriminatorio e punitivo su una minoranza di cittadini. Qualunque minoranza». Voglio poter continuare a dire che sono contraria all’utero in affitto, che da mamma di 5 figli e da insegnante non voglio assolutamente l’ora di «identità di genere» nelle scuole di ogni ordine e grado e che non accetto l’idea che ciascuno possa definire formalmente il proprio «genere» a seconda di come si sente quando si sveglia. Voglio poterlo dire ovunque, parlando con chiunque e in qualunque contesto perché credo fortemente nelle libertà sancite dalla nostra Costituzione.
Eleonora Cimbro
Ognuno segue la propria traiettoria, cara professoressa Cimbro. Lei lo ha fatto e lo fa con cristallina coerenza e sono certo che anche nel nuovo partito in cui ha scelto di militare porterà i valori che ispirano da anni la sua partecipazione politica sviluppatasi in tre diverse formazioni (Pd e Articolo 1, per i quali è stata deputata, e ora Lega). Le auguro di battersi con lucidità ed efficacia per tutti «i valori imprescindibili che riguardano la vita e le libertà fondamentali». Tutta la vita e la vita di tutti, come dico spesso. Quanto ai rischi che vede, e non da sola, mi permetto di dirle che fa bene a denunciarli a partire dalla sua concreta esperienza di intollerabile intolleranza subita nell’agone di un dibattito che ha saputo affrontare con fermezza e civiltà.