mercoledì 11 novembre 2015
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Quale Chiesa italiana c’era ieri, a Santa Maria del Fiore, dinanzi a Francesco? Una Chiesa che nell’ultimo mezzo secolo ha saputo restare accanto alla gente attraverso il reticolo capillare delle parrocchie, con le associazioni, con una presenza nella società fatta di scuole, ospedali, cultura e sport, quando altrove nella nostra Europa tutto ciò veniva smantellato o andava perso.A questa Chiesa italiana, ieri, Francesco si è presentato come padre amorevole, conscio delle qualità della sua "figliola", a cui ha chiesto molto. Moltissimo. Francesco chiede alla Chiesa italiana la cosa più difficile che può chiederle: mettere in discussione abitudini consolidate da decenni e volgere lo sguardo fuori, uscire, chiedendosi: di che cosa veramente hanno bisogno le donne e gli uomini di oggi? Francesco chiede alla Chiesa italiana di abbandonarsi docile al vento dello Spirito andando dove Lui soffia, abbandonando ogni rendita di posizione.Ci sono alcune parole che tornano più volte, nelle parole di Francesco. Parole associate a "Chiesa". Parole a cui non siamo abituati perché del tutto estranee al quell’ecclesialese, la neolingua curiale che tanta fatica facciamo a scrollarci di dosso, perché dà una (falsa) sicurezza. Per tre volte torna, come aggettivo e verbo, inquietante, inquieta e inquietare. Per altre tre volte creatività e creativo. Inquieta, qui, non è la persona poco serena e quindi poco affidabile. Al contrario, inquieto è chi non si fa frenare dalle pastoie del quieto vivere, chi non si assopisce nel mortifero "abbiamo sempre fatto così". Inquietante è il soffio dello Spirito.Sa inquietare e animare (e comprendere, accompagnare, accarezzare, tutti verbi associati alla Chiesa) solo una comunità viva, inquieta perché viva. Chi è positivamente inquieto non dà nulla per scontato. Si guarda attorno, si pone domande, osa. Non rimane ancorato a un conservatorismo sterile e non cade in entusiasti fondamentalismi ma, con giudizio, crea. Eccola l’altra parola inusuale: creatività. Creativa, nelle parole di Francesco, è la povertà evangelica, sottintendendo che potere e denaro non possono esserlo, perché tendono fatalmente a cristallizzare le situazioni. Quando il Papa eleva una preghiera a Dio, è esattamente in questi termini: «Dio protegga la Chiesa italiana da ogni surrogato di potere, d’immagine, di denaro. La povertà evangelica è creativa, accoglie, sostiene ed è ricca di speranza». A essere creativa è soltanto una Chiesa «adulta e solida». Sono sicuro che ce la farete, ricorda Francesco, «perché siete una Chiesa adulta, antichissima nella fede, solida nelle radici e ampia nei frutti. Perciò siate creativi», come creativi furono tutti i nostri geni dell’arte e della poesia, tutti i nostri santi nessuno escluso: santi perché creativi, non benché creativi. Quale Chiesa ci sarà domani, dopo Santa Maria del Fiore? Una Chiesa che sa dare «una risposta chiara alle minacce che emergono all’interno del dibattito pubblico». Sono le minacce alla vita, alla famiglia, al lavoro, alla libertà. La Chiesa non può tacere, ma il metodo sarà quello del dialogo, metodo tutt’altro che inerte e remissivo. Dialogare è «cercare il bene comune per tutti», non mercanteggiare mirando a conquistarsi una fetta di bene comune. Dialogare significa accettare l’inevitabile conflitto, ma sempre per andare avanti. Il dialogo migliore, poi, non è parlare e parlare, ma fare insieme, agire insieme, e non tra soli cattolici ma tra uomini di buona volontà. Tutto questo Francesco lo chiama «il mio sogno», altro termine inusuale: un Papa che sogna, e sogna una Chiesa libera, inquieta e creativa, lieta con il volto di una mamma. Come realizzare il sogno? Francesco suggerisce un metodo antico ma al quale non siamo molto abituati, un metodo che potrebbe rivelarsi il primo contenuto: il «modo sinodale», ossia «popolo e pastori assieme», impegnati nel tradurre la Evangelii gaudium. Ovviamente in modo creativo: «Sono sicuro della vostra capacità di mettervi in movimento creativo». Una Chiesa italiana «adulta, antichissima nella fede», non può aver paura della propria genialità. È lo stesso genio che ha fatto sì che ci fosse Santa Maria del Fiore. Nel cui guscio, ieri mattina, la comunità ecclesiale italiana ha vissuto una pagina storica. Un grande, nuovo inizio.
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