giovedì 8 settembre 2016
COMMENTA E CONDIVIDI

S'incatenano in Veneto per non «perdere» la nipotina Tempo fa, su questo giornale, mi sono chiesto se era giusto che un giudice attribuisse a un coniuge separato una responsabilità se l’altro coniuge stava male, andava in analisi, deperiva, si ammalava. Perché le cose erano andate proprio così: un giudice aveva stabilito che c’era una colpa nel far star male il coniuge, e ci voleva un risarcimento. Il codice prevede il diritto di separarsi? Quindi si può fare, è legittimo. Ma un conto è ciò che è legittimo, altro conto ciò che è giusto. E questo vale in tutti i campi.

Anche quello economico: che uno abbia una pensione da 3mila euro al giorno (succede) e un altro da 300 euro al mese (succede anche questo), sarà legittimo ma non è giusto. Chi ha moglie e figli, e lascia moglie e figli per andare a vivere con un’altra, reclama un suo diritto alla felicità. Ma quel giudice stabilì che finché uno è solo, insegue la felicità individuale, quando si sposa insegue la felicità di coppia, quando ha dei figli insegue la felicità di gruppo, cioè della famiglia. Parlavo allora di questo problema perché c’era stato il suicidio di un ragazzo, dopo la separazione dei genitori, e la Rai pensava di farci una trasmissione. Io ero per la tesi che se la separazione provoca un trauma nei figli e qualche figlio non ce la fa più, allora chi si separa deve valutare se la propria felicità vale questo prezzo. M’ha scritto un vescovo per quell’articolo.

M’ha telefonato un parroco, che l’aveva letto a Messa. Eran d’accordo. Non ho cambiato idea. Quando t’impegni per la felicità di gruppo, e poi insegui la tua felicità personale, tradisci il tuo impegno, e questo ha un peso. La legge non lo afferra, ma questo non elimina il problema. Ieri leggevo di una coppia di nonni, nel Veneto, che si sono incatenati davanti al municipio di Treponti per protestare contro la sentenza di un giudice che, regolando la separazione dei genitori di una bambina, aveva stabilito che i nonni potessero vederla solo un’ora al mese, ma non a casa, bensì in uno stanzino dell’Usl. Non giudico il giudice. Se ha stabilito così, vuol dire che così è legittimo.

Cosa lamentano i nonni? Di non poter neanche consegnare un regalo alla piccola, se non per interposta persona. L’anno scorso si son serviti del sindaco. Lamentano di non poter assistere alle recite scolastiche. Le recite scolastiche sono orrendamente deliziose. Ricordo ancora quando i miei figli uscivano dall’asilo per entrare in prima elementare. Cantavano: «Ciao vecchio asilo, / grandi siam già / e a scuola si va. / Noi siamo le colonne / della prima elementar, / adesso le colonne voi dovete rispettar». Noi genitori dobbiamo rispettare i nostri bambini diventati colonne? Orripilante. Però sono grato alla suora che ha inventato quella filastrocca. Nel cervello dei miei figli, ha acceso una lampadina. Il giudice che ha imposto queste condizioni ai nonni gli toglie la continuità della vita, perché i nostri nipoti siamo noi che continuiamo.

Gli toglie la sopravvivenza. Tanto vale morire. E infatti i due nonni minacciano: «Ci daremo fuoco». Chiamo il cronista che ha fatto il pezzo sul Mattino di Padova, Gianni Biasetto: «Le son sembrati nonni pericolosi per la nipote», «Al contrario, devotissimi», «Ma il sindaco da che parte sta?», «Dalla loro, dice che li aiuterà». Se le cose stan così, siamo all’ennesimo episodio in cui i nonni non hanno peso giuridico nella relazione con i nipoti, come se fosse una relazione accessoria ed eliminabile. Invece, per i nonni è un ancoraggio alla vita che se ne va, per i figli è una radice della vita che cresce. Signor giudice, il codice non ha psicologia, ma ce ne metta un po’ lei, di sua iniziativa. I nonni le saranno grati subito. La bambina, domani.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: