venerdì 16 gennaio 2015
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A sorpresa la Banca centrale svizzera ha deciso di togliere le briglie alla valuta nazionale. Rinunciando a difendere il cambio fisso di 1,20 franchi per euro che manteneva da tre anni a questa parte. I mercati sono rimasti a dir poco spiazzati: la moneta unica è sprofondata del 32% in pochi minuti, fino alla soglia di 0,85 franchi, e la Borsa di Zurigo è arrivata a cedere fino all’11%, chiudendo poi a -8,6%. Pesanti ribassi hanno colpito infatti le azioni delle grandi aziende esportatrici elvetiche che, con una valuta troppo forte, rischiano di compromettere  sorpresa la Banca centrale svizzera ha deciso di togliere le briglie alla valuta nazionale. Rinunciando a difendere il cambio fisso di 1,20 franchi per euro che manteneva da tre anni a questa parte. I mercati sono rimasti a dir poco spiazzati: la moneta unica è sprofondata del 32% in pochi minuti, fino alla soglia di 0,85 franchi, e la Borsa di Zurigo è arrivata a cedere fino all’11%, chiudendo poi a -8,6%. Pesanti ribassi hanno colpito infatti le azioni delle grandi aziende esportatrici elvetiche che, con una valuta troppo forte, rischiano di compromettere il fatturato. L’Istituto centrale non ha deciso di sganciare il valore del franco per una sorta d’inspiegabile autolesionismo: lo ha fatto perché ormai ritiene che l’euro non sia più a rischio implosione. E risulti di conseguenza troppo oneroso impegnarsi a contrastare un eccessivo rafforzamento del franco. Le riserve in euro nei forzieri elvetici hanno raggiunto per altro livelli altissimi. Nel settembre 2011 la decisione di comprare euro qualora il cambio si fosse allontanato dalla soglia minima fissata a 1,20 era stata presa perché il mercato, temendo la fine della divisa europea, cercava un porto sicuro proprio nell’isola monetaria incastonata nel mare dell’Eurozona. Il franco svizzero era considerato il bene rifugio per eccellenza.  Oggi la situazione è molto diversa. L’euro, cioè, non rischia più di saltare. Grazie soprattutto alle difese alzate dalla Banca centrale europea. Due giorni fa – la contiguità temporale è tutt’altro che un caso – la Corte di giustizia Ue ha dato il via libera al cosiddetto scudo anti-spread, il piano Omt varato nel 2012 da Mario Draghi per soccorrere i Paesi in difficoltà. E il 22 gennaio la Bce dovrebbe lanciare il Quantitative easing, acquisto di bond sovrani di tutti gli Stati euro per iniettare ancora più liquidità sui mercati e combattere così la deflazione. La moneta unica potrebbe indebolirsi ancora, vero. Ma l’Eurozona non rischia più di saltare, ed è ciò che davvero conta. Lo ha ribadito a scanso di equivoci Draghi in una lunga intervista al settimanale tedesco Die Zeit: «L’euro è irreversibile». La Banca centrale svizzera, anticipando forse i mercati, ha recepito il messaggio. E pur pagando un prezzo salato, ha agito di conseguenza.
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