sabato 22 settembre 2012
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Caro direttore,
la rivoluzione industriale portò un vero e proprio stravolgimento del territorio negli usi e costumi, modificando il modo di lavorare e di vivere: nelle città, nelle campagne, nelle società, nelle attività produttive. La rivoluzione agraria aveva lasciato molti contadini senza lavoro, questi abbandonano quindi le campagne e cercano un nuovo lavoro nelle fabbriche. Come provato empiricamente, nulla si crea, nulla si distrugge, tutto però si modifica ed è con questo tangibile concetto che bisognerebbe arrendersi all’evidenza. Oramai il potere di contrattazione degli operai nelle fabbriche è sempre meno forte nei confronti dei datori di lavoro, proprietari delle aziende che traggono sempre più convenienza nell’investire all’estero, o reclutare mano d’opera a basso prezzo presso disperati disposti a tutto. Una vera soluzione sarebbe quella d’investire il più possibile sulla grandissima risorsa che noi italiani, in tutta la nazione, possediamo: le bellezze naturali e archeologiche. Vero e proprio tesoro, maggiore dell’oro (e dell’oro nero). Il vero impegno dovrebbe essere quello di puntare sul turismo: gli stranieri ci invidiano le nostre meravigliose, uniche e immense risorse. Cambiamo atteggiamento convincendo, informando e formando i cittadini per indurli a diventare fautori di una più intensa attività sempre più specializzata e all’avanguardia. Siamo un popolo con un innata creatività e capacità di unire l’utile al dilettevole. Preservare parchi con una natura incontaminata, salubre, tirare a lucido i musei, anche a cielo aperto, dislocati in ogni angolo del territorio. Fare di questa condizione una fonte di guadagno e di benessere è il vero investimento che crea sani posti di lavoro. Questo dovrebbe essere il nuovo ruolo del sindacato, battersi per incrementare un radicale cambiamento della figura del lavoratore di fabbrica. Se epocale fu la rivoluzione industriale, altrettanto sconvolgente, sana e fruttifera sarebbe quella ambientale.
Nadia Negri, Anzola dell'Emilia (Bo)
In altre parole e con una speciale sottolineatura, cara signora Negri, lei rilancia una delle vie che, da tempo, Avvenire sta indicando tra le più utili e percorribili per uscire da questa aspra crisi. E per farlo con passo sicuro e prospettive serie. Usare bene il nostro territorio e ciò che per natura e arte lo rendono semplicemente unico. Certo, non possiamo trasformarci solo nei "custodi" del Bel Paese, ma dobbiamo certamente re-imparare a esserlo. E ci sono un’infinità di lavori e di competenze da mettere in campo valorizzando anche tutte quelle forme di lavoro associato, meglio comunitario, che in misura notevole hanno contribuito a costruire questo nostro immenso patrimonio artistico, monumentale e paesaggistico. Si tratta, insomma, di darci del lavoro vero, e bellissimo. E possibile.
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