sabato 17 settembre 2016
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​Accade, per una di quelle coincidenze impossibili da prevedere, che l’addio del Paese all’ex presidente della Repubblica Ciampi abbia coinciso ieri con un doppio appuntamento politico di notevole interesse per gli italiani che si riconoscono, o non escludono in futuro di poterlo fare, nell’area del centrodestra. Da un lato la convention milanese promossa da Stefano Parisi, alla ricerca di nuove energie da convogliare proprio in quel versante dello schieramento, con l’obiettivo di «rigenerarlo». Dall’altro il tradizionale raduno leghista a Pontida, dove sono convenuti anche tre presidenti di Regioni settentrionali eletti, pur se in tempi diversi, con i voti di tutte le componenti della medesima area.Ebbene, se dovessimo giudicare dal tono e dal contenuto dei commenti che nelle due sedi sono stati espressi sulla scomparsa dello statista di Livorno (come riferiamo nelle cronache), si dovrebbe concludere che il futuro del centrodestra italiano tutto potrà essere fuorché unitario. E che molto difficilmente potrà approdare anche soltanto a un patto di collaborazione simile a quello costruito poco più di due decenni fa da Silvio Berlusconi.D’altra parte, il bivio di fronte al quale si trovano protagonisti vecchi e nuovi della compagine che ha vinto in tre delle ultime sei elezioni politiche generali, è di quelli che, in caso di scelta errata, sembra lasciare ben pochi margini di recupero. Nello scenario tripolare, e ad alto tasso di mobilità, che gli italiani hanno disegnato nelle ultime consultazioni, non si vede come lo spazio della «metà campo» di destra possa ampliarsi, se le voci degli occupanti continueranno a essere sempre più discordanti e pronte a enfatizzare soprattutto ciò che li distingue gli uni dagli altri.Ma c’è un fattore soprattutto che dovrebbe spingere a riflettere i costruttori di una possibile alternativa a ciò che essi stessi definiscono, declinando a seconda dei casi scetticismo e disprezzo, il renzismo e il grillismo. Il Paese, che sta cercando con grande fatica di uscire dalla secche di quasi due lustri di crisi, ha bisogno essenzialmente di un grande progetto di rilancio, di una ripartenza che gli restituisca compattezza all’interno e credibilità all’esterno. E un progetto del genere non si mette assieme limitandosi a registrare le carenze e gli errori dei tentativi fin qui compiuti dagli altri. Le stesse difficoltà che le nuove leve di M5S stanno incontrando, nell’impatto con la gestione della cosa pubblica, dimostrano che non basta riuscire a cacciare i vecchi inquilini dei palazzi per garantire il loro funzionamento migliore.Da questo punto di vista, l’approccio fatto intravvedere ieri alla parisiana «convention Megawatt» sembra porre almeno qualche premessa positiva. L’insistenza dell’ex candidato sindaco milanese sulla necessità di passare dal voto «contro» a quello «per» dimostra consapevolezza della posta in gioco. L’accoglienza nella manifestazione milanese di personalità, professionalità e realtà associative non etichettabili come di area sottolinea il desiderio di non rinchiudersi in vecchi schemi autoreferenziali.Il tentativo di Parisi, aldilà delle incertezze – e forse delle volute ambiguità – sul sostegno che l’ex Cavaliere di Arcore vorrà dare all’operazione, dovrà certo fare i conti con molti fattori, non ultimo la riluttanza di una classe dirigente sulla breccia dalla prima ora o emersa negli anni dello scompaginamento del partitone Pdl a fare almeno passi di lato, se non indietro. Ed è sintomatico a questo proposito il ricorso quasi ossessivo all’aggettivo «nuovo» fatto ieri nel discorso d’apertura da Parisi, attento per altro a non aprire fronti polemici interni, fino al punto di evitare giudizi diretti sulle incredibili parole di Matteo Salvini a proposito del «traditore» Ciampi.Alla lunga, tuttavia, la vera sfida per il manager prestato alla politica sarà probabilmente proprio quella di riuscire a porre argini fermi alla demagogia distruttiva e alla tendenza sempre più inarrestabile alla demonizzazione dell’avversario, del resto da lui denunciata apertamente come sterile e perniciosa. E coltivata invece con inflessibile coerenza dal leader leghista, con ogni probabilità pronto, tra oggi e domani, a lanciare altri e non meno acuminati strali, anche contro i possibili compagni di strada. Che arrivino a bersaglio fino al punto di garantire la vittoria all’arciere lumbard e, da qualche tempo, ital-lepenista sembra però molto dubbio. Si è già visto in tutte le ultime elezioni: un centrodestra fatto di «signor no» e di costruttori di muri non ha davvero un gran futuro.
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