giovedì 15 agosto 2019
Sui sentieri della Valmalenco, per auscultare uno dei numerosi «grandi malati» dell’arco alpino
Nella nostra era geologica è normale un’altalena climatica, ma l’incremento in atto procede a una velocità mai vista: 2 gradi in poco più di un secolo, e altrettanti sono previsti nei prossimi 40 anni. L’immagine del Ventina è emblematica: la lingua di ghiaccio si è ritirata di 585 metri dal 1990, e di 220 nei soli ultimi 7 anni

Nella nostra era geologica è normale un’altalena climatica, ma l’incremento in atto procede a una velocità mai vista: 2 gradi in poco più di un secolo, e altrettanti sono previsti nei prossimi 40 anni. L’immagine del Ventina è emblematica: la lingua di ghiaccio si è ritirata di 585 metri dal 1990, e di 220 nei soli ultimi 7 anni

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Pare strano, vederlo andarsene. Non è il solo e non sarà l’ultimo a sparire. La Terra è sempre più calda. Le rocce del monte Sissone riflettono i raggi solari nel firn.

Arriveranno a spezzare l’anima del circo glaciale. I canaloni di neve che scendono dal monte Disgrazia non ce la fanno a rimpinguare il bacino che scende verso l’Alpe della Ventina. Minuscoli frammenti di pioda e serpentino, le pietre che i giovellai

estraevano dalla pancia della montagna a colpi di mazza e piccone, adesso se ne vengono giù alla rinfusa dal Pizzo e finiscono col coprire la lingua del ghiacciaio, che boccheggia. Effettivamente, una coperta di roccia potrebbe difenderlo dall’estinzione ma quando il pietrame è sottile incamera calore e favorisce la fusione. La pioggia battente che ci accoglie oggi, poi, lo ferisce a morte, dilavandolo, e il torrente alimentato dalle vene sotterranee s’ingrossa limaccioso, prima di precipitare a valle: in piccolo, sta succedendo come a Zermatt, dove, alla fine di luglio, un lago sub-glaciale è collassato, riversandosi nelle strade della cittadina svizzera.

Il rifugio è alle nostre spalle ormai da un’ora, quando Claudio Smiraglia mostra una foto. L’ha scattata Alfredo Corti, scienziato e alpinista, nel 1910. Se ci trovassimo allora dove siamo in questo istante, useremmo i ramponi per avanzare nel bianco. Adesso, al contrario, camminiamo tra i larici che si aggrappano ai crinali scistosi. Il gigante della Valmalenco ci aspetta molto, ma molto più in alto. Quella che gli anziani del posto chiamano la vedrecia de la ventena, ci fronteggia a 2.270 metri d’altitudine. Dal 1990 al 2018 si è ritirata di 585 metri, 220 negli ultimi sette anni. Se si considera che, da quando nasce, un ghiacciaio inizia a scorrere verso il basso, la massa di ghiaccio rubata dal surriscaldamento del pianeta è sempre più imponente. Anche a monte, oltre i 3.500 metri, dove nasce il Ventina, si è assottigliata. «Il ghiacciaio si alimenta d’inverno e cede massa d’estate. Vive e, come tutti i viventi, può morire»: Smiraglia ha insegnato geografia fisica e geomorfologia all’Università di Milano ed è uno dei massimi esperti della materia. Ha studiato per decenni i ghiacciai del mondo e in particolare quello dei Forni, trincea occidentale della Grande Guerra. «Fino all’età industriale – spiega – il clima manteneva queste formazioni in equilibrio; ora si stanno ritirando tutti. Tutti. Se lo zero termico continua a salire resteranno solo alle quote più elevate, e in Italia si ridurranno a piccole placche».

La fase attuale di accentuato ritiro, ci spiega Mattia Gussoni, responsabile del Ventina per il Servizio glaciologico lombardo – che editerà nelle prossime settimane un libro sul ghiacciaio –, si inserisce in una storia lunghissima di variazioni climatiche. Nel 'nostro' Quaternario, la temperatura si è già impennata in passato, ad esempio 7mila anni fa. Nell’ultimo milione di anni espansione e ritiro dei ghiacciai si sono ripetuti per una decina di volte, alternando lunghi periodi freddi e brevi periodi caldi. Dati che faranno felici i negazionisti del cambiamento climatico, che comunque non hanno grande seguito tra glaciologi e climatologi. «L’ultimo ritiro è iniziato 19mila anni fa – osserva Gussoni – quando i ghiacciai sono rientrati nelle valli secondarie, come la Valmalenco, fermando i loro fronti tra 800 e 1.200 metri. Con l’Olocene, poco meno di 12mila anni fa, il clima ha iniziato a oscillare e solo con la piccola età glaciale (14501850) si ebbe quella formidabile avanzata che ha lasciato sul terreno morene, rocce montonate, massi erratici: tutti i segni che oggi incontriamo sul sentiero glaciologico». Si arriva così all’incremento delle temperature che si nota persino dallo spazio e che anche qui ha innescato una fusione senza precedenti. «Pur escludendo l’estate africana del 2003 – precisa Gussoni –, quando in quota si registrarono in media 13 gradi centigradi, negli ultimi anni sono stati raggiunti picchi massimi mai sperimentati in 150 anni di rilevazioni».

Le testimonianze fotografiche di questa Caporetto dei ghiacci sono talmente eclatanti da risultare incredibili ai più. Già, perché su queste montagne verdi e cupe il ghiaccio c’è sempre stato, e non solo 20mila anni fa, quando, dalla Valtellina alla Valchiavenna, tutto era coperto da un’immensa coltre bianca. C’era anche dopo, quando per secoli i pastori hanno conteso i pascoli alla montagna e si moriva (letteralmente) di freddo. C’era quando il serpentino veniva estratto solo d’inverno, perché il ghiaccio proteggeva i minatori dalle infiltrazioni e dai crolli. C’era quando gli spalloni sfidavano il gigante bianco per fuggire ai panau, i finanzieri... e si spera che ci sia ancora per un bel po’, visto che il 'treno della neve' assicura al turismo della Valmalenco un flusso di sciatori in aumento del 20% ogni anno. Tuttavia, l’incremento di 2 gradi centigradi in poco più di un secolo – altrettanto è atteso per i prossimi quarant’anni – non permette di farsi soverchie illusioni. L’allarme non riguarda solo le Retiche o l’Adamello, dimezzato in trent’anni: entro la fine del secolo tutti i ghiacciai delle Alpi, con poche eccezioni, potrebbero essersi dissolti, lasciando dietro di sé un territorio fortemente indebolito, ostaggio di frane e cadute di massi. Gli scienziati ipotizzano anche la formazione di nuovi laghi potenzialmente instabili: improvvisi crolli di pendii rocciosi e morene possono innescare ondate e inondazioni. Uno tsunami in miniatura è possibile anche in Valmalenco, come certificano i numerosi seracchi aperti nel ghiacciaio. Del resto, la disintegrazione del Ventina non si arresta dagli anni Settanta: «Nel 2003 comprendemmo il ruolo geologico del permafrost – continua a raccontare il professor Smiraglia – nel senso che sopra i 3.000/3.500 metri la montagna è tenuta insieme dal ghiaccio interno che cementa le rocce, e quell’anno, in cui fece caldissimo, fu un continuo crollo...».


Il riscaldamento globale non si limita a cambiare il volto della montagna ma condiziona anche l’escursionismo. Camminare sulla coltre ghiacciata in piena estate è diventato pericoloso, perché le Una delle targhette che segnano l’arretramento del ghiacciaio. Sopra, il confronto tra 2012 e 2018 zone deglaciate collassano con maggiore frequenza. L’itinerario che raccontò Luigi Marson nel 1897, che oggi seguiamo attraverso il sentiero glaciologico Vittorio Sella, è molto cambiato. Sono emersi depositi morenici che prima erano invisibili e l’itinerario che dai 2mila metri superava il torrente per portarsi sulla sinistra idrografica e compiere il percorso ad anello concepito dal Cai e dal Servizio glaciologico lombardo oggi è impraticabile. Certo, il Ventina, che trae il suo nome dai forti venti della zona, se ne sta sempre tra l’omonimo Pizzo, il monte Disgrazia, il monte Pioda e le Cime di Chiareggio, che superano i 3mila metri. Oggi però lo incontri a quota 2.600, mentre Corti lo vide lambire l’Alpe, che non arriva ai 2mila. Il primo a registrare la regressione fu Marson, incaricato dal Cai di studiare le masse glaciali delle Alpi. Dal 1992 il Servizio glaciologico lombardo le monitora, installando cartelli che raccontano al visitatore la lotta del 'grande malato' contro l’innalzamento delle temperature. Sono passate da 9 a 10,5 gradi centigradi in 150 anni, ricorda Gussoni. Lungo il sentiero ci appuntiamo le stazioni di questa via crucis geomorfologica: il Ventina ha recuperato terreno dal 1915 al 1923 (23 metri) e dal 1916 al 1921 (60 metri), per perdere, tra gli anni 40 e 50, dai 16 ai 20 metri all’anno. Tra il 1963 e il 1970 arretra di quasi quattrocento metri, dal 73 all’89 avanza di cento e dall’89 al 2016 arretra di 450, la metà dei quali negli ultimi otto anni... Nel mentre, la sua lingua si è assottigliata e frantumata; le masse isolate si sono sciolte; alcuni corpi confluenti, dal Canalone della Vergine al pizzo Rachele, si sono separati.

Ma si può salvare un ghiacciaio? Smiraglia ammette (con tanti se e tanti ma) che si può. Precisa che è costoso e che «ha poco senso sul piano ambientale, mentre può averne su quello economico, soprattutto se si vuole praticare sci estivo, o meglio tardo-primaverile». Qualche anno fa, con un finanziamento Levissima, si è sperimentato per la prima volta in Italia l’uso di teli riflettenti sul ghiacciaio Dosdé, in alta Valtellina. L’esperimento è riuscito perfettamente – la perdita di spessore si è ridotta di oltre il 50% – e in alcune aree sciistiche ha fatto scuola, ma, ammonisce lo scienziato, «scordiamoci di aver trovato la soluzione alla crisi dei ghiacciai provocata dal riscaldamento globale».


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