Lula dal Papa: ragioni d'un dialogo
sabato 15 febbraio 2020

«Ho necessità di incontrare papa Francesco per ringraziarlo», aveva detto Luis Inácio Lula da Silva all’inizio di febbraio. E, mercoledì sera, ha ripetuto lo stesso concetto: il gesto del Pontefice «di riunire ad Assisi, il mese prossimo, migliaia di giovani economisti per immaginare insieme una nuova economia più giusta, è un esempio. Un esempio per tutti», a cui il mondo dovrebbe ispirarsi. In quest’ottica va letta l’udienza privata – per questo non presente nell’agenda ufficiale diffusa dalla Santa Sede – che il Papa ha concesso, nel pomeriggio di mercoledì, a Lula. Il quale – aveva anticipato nei giorni scorsi –, in vista di Assisi, ha voluto anche descrivere al Pontefice l’esperienza brasiliana di lotta alla fame e alla povertà realizzata durante i suoi due governi (2003-2010). Ovvero i programmi “Fame zero” e “Borsa famiglia” che hanno fatto uscire dalla miseria oltre 28 milioni di persone tra il 2004 e il 2014. Un esempio di successo, elogiato dalle organizzazioni internazionali e riproposto da vari Paesi che ora, però, rischia di saltare per il taglio dei fondi.

La riduzione della povertà e il boom economico, dovuto all’alto prezzo delle materie prime, avevano trasformato Lula nel presidente «più popolare della storia del Brasile», con l’80 per cento di consensi al termine dell’incarico, e in un simbolo per il Sud del mondo. Negli ultimi anni, però, il nome dell’ex leader è stato associato a contenuti di ben altro tenore. Lula è finito al centro di “Lava Jato”, la maggiore indagine anti-tangenti nella storia del Brasile, avviata nel luglio 2013 dal giudice Sergio Moro. Un ciclone che, in 50 processi, ha travolto manager e politici di ogni schieramento.

Tra i 155 condannati ci sono ben due ex presidenti: il conservatore Michel Temer e il progressista Lula. Quest’ultimo è uscito dal carcere di Curitiba l’8 novembre scorso, dopo avervi scontato 580 giorni per corruzione passiva e riciclaggio. L’ex leader – che avrebbe dovuto restare in cella otto anni e dieci mesi dopo la conferma in appello – è stato rilasciato su istanza della Corte Suprema per incostituzionalità della detenzione prima dell’esaurimento di tutti i gradi di giudizio. Lula, dunque, non è stato scagionato: è uscito per una ragione tecnica. Su di lui, inoltre, pesa un’altra sentenza di colpevolezza in prima istanza, sempre per corruzione e riciclaggio, e sei cause potenziali per associazione al traffico illecito di influenze.

Delitti per i quali l’ex leader non si stanca di professarsi innocente e vittima di un complotto per impedirgli la candidatura alle ultime presidenziali, in cui era in testa ai sondaggi. Ad acuire le polemiche, la decisione del suo “grande accusatore”, Moro, di accettare l’incarico di ministro della Giustizia nel governo di Jair Bolsonaro, esponente dell’ultradestra e principale rivale di Lula nella scorsa competizione elettorale.

E, soprattutto, le rivelazioni, l’estate scorsa, del sito di inchiesta The Intercept che ha diffuso una serie di messaggi, scambiati via Telegram, fra gli inquirenti di Lava Jato. Dalle comunicazioni, Moro – magistrato giudicante – sembra imbeccare i pm e incitarli a “incastrare” i sospettati. La diatriba è aperta. E, di certo, il colloquio a Santa Marta con Francesco non ha mai avuto la pretesa di chiuderla. Lo stesso Lula – per altro incline all’autocelebrazione – non ha fatto menzione della sua vicenda giudiziaria riguardo all’incontro con il Papa.

La riunione, semmai, va letta alla luce di quanto l’allora cardinale Jorge Mario Bergoglio disse all’arcivescovo dell’Avana, Jaime Ortega, poche ore prima dell’elezione al soglio pontificio: in un momento di cambiamenti cruciali per l’America Latina, «la Chiesa non può rimanere a guardare; tanto meno deve affrontare la situazione dall’esterno esprimendo critiche eccessive. Questi processi vanno accompagnati dall’interno attraverso il dialogo». Nel Brasile ultrapolarizzato, lacerato dai conflitti per la terra, segnato dall’avanzata delle sette evangelicali – per altro sostenute dallo stesso Bolsonaro, nonostante si professi cattolico – il dialogo è necessario. Di più: urgente. E la Chiesa non può, non vuole sottrarsi a questa sfida.

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