lunedì 5 maggio 2014
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Caro direttore,
l’altro giorno stavo facendo una cosa che mi piace fare sin da ragazzo: camminavo per strada assorto nella lettura di un libro, "Tutti primi sul traguardo del mio Cuore", che racconta l’ultimo giro d’Italia attraverso gli occhi di chi è cresciuto sulla bicicletta, giocando al mare con le palline di plastica con dentro i campioni del ciclismo "eroico". E dal nulla sento una voce: «Com’è quel libro?». Mi arresto di colpo, la strada è deserta, sto per riabbassare lo sguardo e riprendere il cammino quando, di nuovo: «Com’è quel libro? Sembra interessante da come lo leggi..». Abbasso lo sguardo sulla mia destra e mi accorgo che a parlare, dentro una Fiat Uno bianca, che a giudicare dall’acqua e altri generi alimentari che si intravvedono sul sedile del passeggero e dalla coperta su quello posteriore è molto più che una macchina, è un ragazzo che avrà su per giù la mia stessa età, barba incolta e vestiti vissuti come l’espressione dei suoi occhi chiari, di un azzurro cielo impressionante. Mi racconta della sua vita e io della mia. A un certo punto mi abbasso, fingendo di allacciarmi la scarpa per cercare qualche moneta in tasca, ne trovo una da due euro, e dopo qualche altra parola la appoggio sulla confezione di acqua sul sedile anteriore e gli dico: «Mi spiace non ci sia un bar nella via, altrimenti ci saremmo presi un caffè insieme, ma così è come l’avessimo fatto..». «Oh – fa lui – aspetta (e inizia a rovistare in una borsa sul sedile posteriore, tirando fuori una bottiglia di passata di pomodoro)... tieni, così è come se ci fossimo fatti anche due spaghetti!». Resto colpito da quel suo gesto così spontaneo e immediato, quasi volesse in qualche modo sdebitarsi. Di cosa poi? In verità, io gli ho offerto solo un "caffè" mentre lui un "piatto di spaghetti", perciò dovrei essere io ad essere in debito! E in effetti, caro direttore, devo dirti che è proprio così che mi sento... ho ricevuto dalle sue parole e dai suoi gesti, ben più di quello che ho donato. Sorrido e lo saluto ringraziandolo di cuore, e fino al lavoro non riprendo più a leggere il bel libro di carta che ho ancora tra le mani, perché ne ho appena sfogliato uno di "carne", che mi ha fatto comprendere davvero fino in fondo le parole di Papa Francesco e il suo invito a "toccare" la carne di nostro fratello nel bisogno come fosse la nostra, perché è la carne di Cristo stesso. Un incontro, questo, che è un dono prezioso, che non cambia solo il modo di rientrare in ufficio in una giornata all’apparenza come tante, ma che aiuta a cambiare la vita. Grazie!
Emanuele Pagani
Un incontro davvero molto bello, caro Emanuele. Sapersi guardare in faccia e ascoltare con gentilezza, attenzione e curiosità – e, dunque, lo sottolineo due volte, senza sospetto e senza presunzioni – fa bene, sempre. Accettare che una piccola grande sorpresa – un volto, un colloquio, un gesto, un fatto concreto... – tocchi e persino irrompa nel modo più semplice e diretto in un pezzetto della nostra vita può istruirci ed emozionarci, cioè – uso un verbo che mi piace molto, in una sua accezione antica che oggi si usa poco e quasi con pudore – riesce a edificarci, ovvero a costruirci su basi profonde. Quando accade – e accade – si accende una luce destinata a durare e a segnare il nostro sguardo sugli altri e su noi stessi. E che ci aiuta a dare diverso valore e senso a parole come "ricchezza" e "debito"... L’argine che ci impedisce di ricevere qualcosa di importante da chi sembra non avere niente da dare (e, magari, ha veramente meno di noi) è quello della diffidenza e della indifferenza. Una barriera che attraversa questo nostro tempo di gente "evoluta" e civile con effetti persino più disumanizzanti e rovinosi di quelli tristemente sperimentati in epoche ben più feroci e dure. Papa Francesco ci sta aiutando a rendercene conto con una predicazione di coinvolgente intensità. Storie come la tua, amico mio, ci ricordano che questi muri passano per le strade di ogni giorno. Ma cadono, oh se cadono... E ogni volta è una festa per cui essere felici, e grati.
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