domenica 23 maggio 2010
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Caro direttore,seguo da settimane l’inchiesta di Avvenire sul caso di aborto terapeutico avvenuto a Rossano Calabro. Ho vent’anni, sono uno studente di Gurisprudenza, sono "affetto", anche se questo termine mi fa ribrezzo, da quella malformazione congenita al palato e al labbro chiamata palatoschisi. Ho fatto della politica giovanile la mia passione. L’ho fatto anche in questa società nichilista e basata  quasi esclusivamente sull’immagine, dove anche e solo una minuscola imperfezione può portare a mille scompensi.  Così non è stato per me, ho trovato tanti fratelli  in grado di farmi crescere umanamente e con cui condividere un percorso politico e comunitario, persone con le quali condivido la stessa posizione sulla sacralità della vita, in nome anzitutto di una ferma e convinta adesione alla ragione, prima ancora che per una impostazione di carattere religioso. Sono , insomma, uno di quei giovani pro life di cui quotidianamente il suo giornale parla e credo quindi nella tutela della vita dal suo concepimento alla morte naturale e ho fatto molte scelte proprio a partire dalla mia esperienza personale. Ringrazio mia madre e mio padre per aver fatto prevalere la voglia e la gioia di avere un figlio, per aver fatto prevalere il loro istinto di genitori piuttosto che gli stati d’ansia e d’agitazione che un evento come la nascita di un figlio che sarà necessariamente soggetto ad interventi chirurgici può portare con sé. Non credo sia utile narrare tutte le mie esperienze di vita, credo si sia capito benissimo che questa malformazione permette di vivere in modo normalissimo.  Ritengo il caso di Rossano Calabro un  esempio di come la scienza, da strumento a servizio dell’uomo possa cadere nel vortice del pensiero relativista che con tanta forza e tanta costanza Benedetto XVI combatte. Quello di Rossano è un evento terrificante e allo stesso tempo è  proprio simbolo di come il nichilismo relativista prenda piede in modo preoccupante. La motivazione stessa che giustificherebbe l’aborto: il grave scompenso per la salute psichica della madre, ci deve far riflettere su cosa comporta il bombardamento mediatico che tutti siamo costretti a subire in merito queste tematiche, con i "signori della morte" che da anni parlano di aborto come panacea, come medicina risolutrice di ogni problema esistenziale per una donna in difficoltà. C’era un bambino che meritava di assaporare i primi pasti, di dare calci a un pallone, di andare a scuola, di avere amici, di innamorarsi, di vivere insomma. Quel bambino è morto lottando e mi piace immaginare che la sua lotta possa essere elevata a simbolo della battaglia quotidiana che molti fanno contro la logica imperante che vuole sia permessa la morte facile e indolore. Angelo, così come voi di Avvenire lo avete chiamato, è stato abbandonato in quel carrello da questo pensiero dominante. Le ho scritto perché ritengo sia utile far conoscere a più persone possibili, al di là delle mie convinzioni personali che mi portano a pensare l’aborto come una soluzione quasi sempre ingiustificabile, che questo genere di problema non è assolutamente da ritenersi tale, le ho scritto perché spero che una testimonianza sia in grado di combattere l’ignoranza e la superficialità con cui questo genere di problematiche viene affrontato. Mi sono sentito in dovere di farlo, specie per Angelo per dare un seguito alla sua lotta disperata, alla sua tenacia, alla sua voglia di vivere. Sono consapevole che una lettera non possa essere sufficiente a combattere i "signori della morte", per questo continuerò la mia battaglia contro chi probabilmente avrebbe pensato che non farmi nascere sarebbe stata una cosa opportuna e lecita.  La ringrazio infinitamente per il lavoro che Avvenire sta portando avanti poiché, nel silenzio di tanti, questo giornale resta un presidio in difesa dei valori inalienabili di cui i media si occupano, purtroppo, solamente in casi di grande rilievo mediatico. Questa vicenda passata così sotto tono meriterebbe una maggiore attenzione. Spero che questa mia lettera sia letta e contribuisca a diffondere la cultura della vita e ad abbattere il muro del relativismo e del nichilismo che sono i veri artefici di questa tragedia, poiché chi incontra la tragedia dell’aborto durante il proprio cammino merita solo rispetto e compassione.

Francesco Boezi

La sua, caro Francesco, è la seconda bella lettera che ricevo in pochi giorni da amici lettori profondamente, esistenzialmente, interpellati dal caso del bimbo di Rossano Calabro «che non voleva morire» e che è spirato , in solitudine, dopo una penosa agonia.Credo che lei, che si firma serenamente per esteso, e la gentile signora che aveva invece chiesto di non apparire in prima persona, abbiate fatto un gran dono ai lettori di Avvenire. Grande come la pienezza di vita che, in entrambi, è stata sentita, riconosciuta e amata dai vostri genitori. Un affettuoso augurio per il suo cammino e per il suo impegno.
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