Colosseo, appello al rispetto della direttrice archeologica
martedì 7 agosto 2018

La direttrice del Parco Archeologico del Colosseo chiede aiuto alle forze dell’ordine: tutta l’area è in forte degrado, vi s’intrufola malavita di ogni ordine, scippatori, scrocconi, venditori abusivi, imbrattatori, molestatori... La direttrice lamenta che i venditori abusivi siano riusciti perfino a entrare dentro l’edificio, superando tutti i controlli, evidentemente poco attenti. Lamenta che due guardie giurate, mentre fermavano un abusivo, siano state aggredite e percosse. La direttrice ha ragione, il suo richiamo va accolto. Il Colosseo bisogna 'meritarselo'. Ma avremo allora, se abusivi e molestatori saranno tenuti lontano, un corretto uso del Colosseo? Chi lo visiterà, prenderà finalmente coscienza di che cosa era, cosa rappresenta, cosa insegna, quale messaggio morale trasmette il Colosseo all’umanità, quale rimprovero, quale ammonimento? Entrando a visitare il Colosseo le giuste parole che dovrebbero ronzare nel cervello di ogni uomo sono quelle che esprime Jerôme Carcopino, nel libro ' Vita quotidiana a Roma all’apogeo dell’Impero', apogeo che lui colloca sotto Adriano.

Naturalmente, descrivendo la vita quotidiana del cittadino romano medio, Carcopino non può non parlare a lungo dei giochi gladiatorî del Colosseo. Carcopino è un ammiratore della civiltà romana, della vita romana, degli usi e costumi dei romani. Ma arrivato a tutto quello che si svolgeva dentro il Colosseo dice: «Per l’amore che nutriamo verso i romani, vorremmo non dover scrivere queste pagine, vorremmo che le cose che adesso descriveremo non fossero mai avvenute, che l’umanità non le avesse mai conosciute». Il Colosseo è un monumento alla potenza. Alla grandezza. Al dominio. All’impero. Visitando il Colosseo ci si sente sbattere in faccia il vento dell’onnipotenza, la volontà di un popolo che poteva tutto e contro il quale gli altri popoli non potevano niente. Tuttavia nessun luogo come quello è marchiato da quella rivolta all’etica, alla morale, al Dio (lo scrivo maiuscolo) che i greci chiamavano hybris. Il Colosseo è il luogo dove la morte era esibita come spettacolo estetico, di cui godere. La morte come godimento non alimenta la civiltà, la uccide. Dove uomini muoiono soffrendo e altri uomini li guardano godendo, lì non c’è civiltà, c’è la barbarie. Il Colosseo insegnava ai suoi spettatori che c’è un rapporto tra il massimo patimento di chi entra in agonia e il massimo godimento di chi guarda. Il colpo ben inferto, il rantolo del moribondo, la gioia dell’osservatore. Un Impero che giunge a questo livello di potenza e di dominio, per cui si diverte a uccidere, merita di finire e non di durare. La fine dell’Impero Romano è iscritta nella sua smisurata violenza, il Colosseo è il simbolo che accosta la violenza e la mitezza, l’arena delle stragi ludiche e la protesta della croce bianca.

Il Colosseo non è bello, armonioso, grandioso. Sì, è tutte queste cose insieme, ma sormontate da una qualità che le annienta: è terribile. Sono sette milioni i visitatori che l’anno scorso sono entrati per visitare il Colosseo. Tanti, ma meritati. Bisognerebbe che tutti potessero sentire il grido della Storia che si leva da quell'arena, esce da quelle cave sotterranee, si alza dal seggio dove stava Cesare (e dove adesso sta la croce bianca), l’urlo e l’ammonizione. Il prete che va a trovare 'Lo straniero' di Camus chiuso in cella in attesa dell’esecuzione, per scuoterlo dall'indifferenza morale poggia le mani sulla parete e dice: «Queste pietre han sudato il dolore goccia a goccia». Il visitatore del Colosseo dovrebbe sentire nel cervello l’ammonimento: 'Queste pietre han sudato il terrore millimetro per millimetro'. Perché si senta quest’urlo gli abusivi sono un impedimento, i centurioni fasulli sono un intralcio. Spariscano o stiano almeno a una distanza di rispetto.

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