venerdì 18 dicembre 2020
I dati del rapporto dell’Osservatorio Domina sul lavoro domestico illuminano il dibattito
Colf e badanti, il circolo virtuoso delle agevolazioni contro il nero
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Maria nelle scorse settimane stava nascosta a casa del fidanzato a causa della zona rossa e dei possibili controlli. Viene dall’Ucraina, non ha il permesso di soggiorno e non è riuscita a farsi regolarizzare nemmeno quando c’è stata la sanatoria: il suo datore di lavoro non ha voluto fare le pratiche, pagare i 500 euro una tantum e i contributi futuri.

Ha perso il lavoro in nero e, se incappa in un controllo, rischia di essere espulsa. Per Marta, che è italiana, il lockdown di marzo si è rivelato invece l’occasione per emergere.

La persona anziana a cui tiene pulita la casa e prepara i pasti non poteva permettersi che lei rimanesse bloccata senza il permesso per circolare da un comune all’altro. E così ha fatto il grande passo: assunzione a tempo indeterminato, contributi pensionistici e tredicesima. Maria e Marta sono i due volti di come in questo anno condizionato dalla pandemia sia mutata la condizione del lavoro domestico nel nostro Paese. Con un boom di assunzioni a marzo e l’emersione di lavoratori extracomunitari favorita dalla sanatoria della scorsa estate.

Quello del lavoro domestico è un settore trascurato, nonostante fornisca un apporto significativo al Pil italiano, che potrebbe essere ulteriormente incrementato favorendo l’emersione delle tante, troppe posizioni irregolari. Un comparto che non solo offre un servizio insostituibile alle famiglie, ma che fa risparmiare cifre ingenti allo Stato grazie all’assistenza domiciliare agli anziani. Lo testimoniano i dati del secondo Rapporto annuale dell’Osservatorio nazionale Domina sul lavoro domestico. Una miniera di 280 pagine di analisi e tabelle elaborate dall’associazione famiglie datori di lavoro domestico Domina, in collaborazione con la Fondazione Leone Moressa, che “Avvenire” può anticipare.


Con una maggiore deducibilità per le famiglie di stipendi e contributi, più entrate fiscali, meno irregolarità e minore spesa pubblica per l’assistenza agli anziani


Lo scorso anno i lavoratori domestici regolarmente iscritti all’Inps erano 849mila (in leggero calo rispetto al 2018), ai quali si sono aggiunte le 177mila domande di regolarizzazione presentate entro agosto secondo quanto previsto nel decreto Rilancio. A questi si devono poi aggiungere i saldi positivi tra assunzioni e cessazioni registrati nel primo semestre del 2020 (+18.344), con il boom di assunzioni (+58,5%) verificatosi a marzo all’avvio del primo lockdown. In totale, dunque, si è superato per la prima volta dopo il 2012 il milione di lavoratori e oggi si stima che i regolari siano saliti a 1 milione e 45mila.

In dieci anni il rapporto tra colf e badanti è passato da 2:1 a 1:1, mentre è variata la composizione interna, con l’incremento dei connazionali. Resta infatti la dominanza femminile (88,7%), la maggiore presenza di persone straniere (70,3%) e l’età media elevata (il 52,4% ha più di 50 anni). Ma si nota come, tra gli assistenti familiari (le badanti) gli stranieri abbiano registrato un lieve ma costante calo dal 2012 (anno della precedente regolarizzazione) passando da 319mila a 302mila (-5,2%). Gli italiani, al contrario, sono più che raddoppiati, passando da 47mila a 105mila (+125,8%). Anche tra i collaboratori domestici (le colf), gli stranieri hanno registrato un netto calo dal 2012 al 2019, diminuendo da 504mila a 294mila (-41,7%), mentre il numero degli italiani è pressoché invariato: da 145mila a 147mila (+1,4%). Quanto alla provenienza dei lavoratori, la parte del leone (41%) la fanno i Paesi dell’Europa dell’Est, a cominciare dalla Romania, seguono l’Asia con il 14,7%, le Americhe con l’8,7% e l’Africa ferma al 5,7%.



Fin qui la componente regolare, ma nel rapporto si stima che, prima dell’ultima regolarizzazione, fossero ben 1,15 milioni i lavoratori in “nero”, sia italiani sia extracomunitari, con un tasso record di irregolarità del 57,6%. «Le famiglie italiane, costituite anche solo da dipendenti o pensionati, sono diventate per necessità “datori di lavoro domestico” per rispondere in particolare a un bisogno di assistenza urgente agli anziani – si legge nel rapporto curato da Massimo De Luca –. A questi datori mancano spesso conoscenze e risorse economiche. Si appoggiano al lavoro informale per ridurre i costi, esponendosi al rischio di sanzioni o di ricatto una volta terminato il rapporto di lavoro ed esponendo i loro cari all’incognita di assistenti non adeguati. Si può dire che le famiglie datori di lavoro domestico sono un soggetto debole, esattamente come i lavoratori domestici». Questi ultimi a volte “complici” dell’evasione contributiva e fiscale, altre volte invece “vittime” di vero e proprio sfruttamento, aggiungiamo noi. In ogni caso, la recente sanatoria ha riportato alla luce 177mila rapporti di lavoro, per il 70% riguardanti colf e per il 30% badanti. In prevalenza si tratta di persone provenienti dall’Ucraina, dal Bangladesh, dal Pakistan, dalla Georgia e dal Marocco. Anche se va notato come il 23% di domande di sanatoria presentate da datori di lavoro bengalesi, pachistani, cinesi o senegalesi per circa 40mila loro connazionali, lascia pensare che almeno in buona parte si tratti di regolarizzazioni del permesso di soggiorno di parenti o di altre tipologie di lavoratori, esclusi dai benefici del decreto Rilancio. E che dunque questi dipendenti “emigrino” prima o poi in altri segmenti del mercato, così come avvenuto anche in precedenti occasioni. Cosicché, senza interventi di consolidamento, il numero dei regolari potrebbe presto ridiscendere sotto il milione.

Quello del lavoro domestico, tuttavia, è un settore tutt’altro che marginale. I calcoli di Domina parlano infatti di 7,1 miliardi di euro di spesa delle famiglie per i lavoratori regolari e 8 miliardi per quelli in “nero”. Un totale di 15,1 miliardi che genera un gettito fiscale diretto di 1,5 miliardi (potenzialmente di 3,6), un valore aggiunto di 17,9 miliardi, pari all’1,1% del Pil italiano. Ma ancora più importante è il risparmio che le famiglie assicurano allo Stato con l’assistenza agli anziani non autosufficienti: ben 10,9 miliardi l’anno. Se un milione circa di ultra ottantenni e disabili venissero invece ricoverati, infatti, la spesa pubblica salirebbe da 22,1 a 33 miliardi di euro (pur scontando il risparmio delle relative indennità di accompagnamento).

Cifre pesanti, ma che potrebbero essere ancora più importanti se le famiglie venissero agevolate per far emergere il “nero” e favorire l’assistenza domiciliare. «La nostra proposta è semplice – spiega Lorenzo Gasparrini, segretario generale di Domina –. Rendere deducibili al 100% i contributi versati dalle famiglie per i lavoratori domestici, nonché il 30% dello stipendio delle badanti e il 15% di quello di colf e baby-sitter. Prevedere poi un permesso di soggiorno temporaneo per lavoro domestico a favore degli extra-comunitari e rendere effettivo l’incrocio di dati tra Inps e Agenzie delle Entrate, con dichiarazione dei redditi precompilata dei lavoratori. In questo modo, verrebbe alleggerito il peso economico sulle famiglie, favorite l’occupazione e l’emersione, mentre lo Stato potrebbe contare su maggiori entrate fiscali e contributive, nonché su progressivi risparmi di spesa per le strutture sanitarie». Un gioco vincente per tutti, in grado di ripagarsi velocemente. Un circolo virtuoso che potrebbe essere innescato subito grazie al Family Act, visto che la legge delega prevede già “agevolazioni a favore della famiglia”. Lo strumento esiste, la copertura iniziale si può trovare nel Recovery fund, ciò che serve dunque è solo il coraggio di decidere. Per avviare la svolta già nel 2021.
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