Ciao estate, finalmente. (I nostri amati figli disabili)
domenica 8 settembre 2019

Scrivo dopo aver letto e ascoltato tra luglio e agosto il dolore strozzato in gola di mamme come me di ragazzi disabili. Una condizione che non si può comprendere se non si vive da dentro. Per dar voce a chi il tempo del riposo – che sia la domenica o il Natale o l’estate – lo affronta nell’ondivaga sensazione di forza e disperazione di 'potercela fare': per noi questa è normalità. È quasi fatta, l’estate è finita. Possiamo tirare un sospiro di sollievo, in attesa della ripresa delle attività, della nostra routine 'salvifica', l’unica capace di placare le ansie dei nostri ragazzi disabili mentali.

L’unica in grado di garantire la pseudo- tranquillità di noi genitori, che possiamo appropriarci di qualche ora, e non crollare sotto le incombenze di tutti i giorni associate alle esigenze dei figli 'speciali', anche perché speciali sono le loro esigenze. E possiamo leggere con il solito distacco, misto a stupore invidia rimpianto malinconia ricordi, i post di chi l’estate l’ha vissuta in tutta la sua bellezza, tra riposo e divertimento, relax e benefiche fatiche da escursioni, viaggi e scoperte. Dal nostro mondo parallelo abbiamo assistito alla vita delle persone normali, tra uno spostamento e l’altro dei nostri figli, tra una sfuriata e un pianto, un grido di dolore straziante e uno soffocato nel nostro stomaco squassato. Un’altra estate è in archivio e un altro anno della nostra esistenza si va completando.

Già, perché stare accanto a un figlio disabile e organizzargli le giornate, quando tutto intorno si muove il mondo, è dura. Ma basta il saluto del vicino di casa, quattro chiacchiere con il salumiere, un caffè al bar, l’autista del bus che ti aspetta, il commesso immigrato che scambia due chiacchiere con il tuo ragazzone per farti andare avanti.

In fondo c’è un mondo più generoso di quanto non si legga sui blog e la solidarietà non è un concetto astratto. In questo periodo lungo dell’anno fa anche bene l’incoraggiamento degli amici che ti stimano, ti considerano una grande persona per l’amore e la tenacia con cui mandi avanti la vita di tuo figlio e la tua e magari di un altro pezzo di famiglia. La sincerità e l’affetto di quei complimenti ti incoraggiano, ti fanno tenere il passo e persino sentire forte o ti iniettano di nuovo forza nelle membra fiaccate dalle ore indistinte tra notte e giorno, in cui la stanchezza non ti dà tregua perché è nelle ossa, nei muscoli, nelle vene: indelebile. Il tuo cervello non riposa come dovrebbe, perennemente legato a chi dipende da te.

Il difficile è quando la città si svuota, i servizi ti mollano – perché tutti hanno diritto a 'staccare' e chi si occupa di disabili per lo più fa un enorme lavoro – e tu devi decidere, sempre che possa permettertelo: restare a casa o partire, portare in trasferta il tuo carico da solo o rimanere dove le sue abitudini possono garantire un pizzico di stabilità e sicurezza. Non c’è risposta esatta. Quello che scegli è comunque sbagliato. Perché c’è una sola 'busta' da pescare e non è facile che sia stata inserita nel gioco: è quella della compagnia. La compagnia di qualcuno disposto a stare accanto a te e al tuo amato 'carceriere', a starci con il sorriso, a dedicare un po’ del suo tempo per non farlo sentire solo, per impegnarlo, per farlo sentire importante, per toglierti un poco del tuo giogo, per dare a lui o a lei l’idea di estate, di un tempo nuovo e rigeneratore, di svago e divertimento.

Qualche ora, qualche giorno. Perché per i nostri ragazzi qualche ora di svago è un obiettivo, è una promessa, è la sorpresa di Natale. Sapere che arriverà qualcuno che si dedicherà a loro per portarli al mare, per un bagno in piscina, una passeggiata, un concerto... per loro è tutto. E per noi di più. Nella solitudine dell’estate, invece, gli stessi messaggi di incoraggiamento che arrivano dagli stessi amici, i complimenti, i riconoscimenti, scivolano come olio sulla disperazione. L’estate è la notte, il silenzio che ti squarcia il buio e quello che vedi ti spaventa. Perché vedi diversità.

Un termine che per essere politicamente corretto non va associato ai disabili. Ma che è lì a interrogarti, di fronte alla vita vissuta dal mondo intorno a te e la vita sospesa o non vita che senti nel tuo animo. Quando il buio ti avviluppa e la solitudine ti condanna, è allora che tocchi il fondo. Ed è allora che solo una cosa può salvarti dal baratro e interrompe la spirale che ti risucchia sempre più giù, in una profondità senza fine. Arrabbiati, urla il tuo dolore e interrogalo: chiedi a Dio dov’è, perché, perché a te, perché a tuo figlio, perché lo permette, perché ti lascia solo. Papa Francesco ce lo ha ripetuto: «Lottare con Dio è un modo per pregare». È così che nella tua estate esce un raggio di sole.

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