Denatalità: è tempo di risposte
mercoledì 12 febbraio 2020

Lo spopolamento delle aree ai margini dello sviluppo e il calo delle nascite sono due grandi fenomeni che interessano molti Paesi avanzati, e in particolare l’Italia, ma che il dibattito pubblico e la politica hanno trascurato per troppo tempo. Nel diffondere il rapporto sugli indicatori demografici del 2019, l’Istat ha avuto il merito di metterli sullo stesso piano, lasciando capire che la soglia di emergenza è già stata superata. Anche perché si tratta di tendenze molto difficili da contrastare.

Prendiamo il Sud, ma anche tante aree montane o periferiche: le persone lasciano i territori con pochi o cattivi servizi, dove il gap tecnologico è più alto, le infrastrutture sono carenti, i trasporti difficili, il capitale sociale basso. E come biasimarle? I grandi poli di attrazione sono la Lombardia e l’Emilia Romagna, ma potremmo dire le aree metropolitane di Milano e Bologna, perché questa è la stagione del successo delle città, per le maggiori opportunità che offrono. Si può contrastare questa tendenza – non invertirla – a condizione di riconoscere che senza grandi investimenti tecnologici e nella direzione di un maggiore sviluppo, tutto sarà più difficile.

La difficoltà dei "luoghi che non contano" non riguarda solo la fuga delle popolazioni residenti, ma si ripercuote sulla natalità: a differenza di un tempo, oggi chi è più povero o vive in contesti arretrati ha meno figli. Le nascite premiano invece le aree più ricche, dove i redditi sono più alti e i servizi più diffusi. È per questo che i tassi di fecondità sono da tempo più alti al Nord rispetto al Sud. Ed è per questo che il declino demografico è più preoccupante in Italia, Paese avaro di sostegni universali e servizi per le famiglie nel confronto europeo.

E qui veniamo al secondo punto, la denatalità. Anche in questo caso si può e si deve intervenire per contrastare la tendenza in corso, sapendo però che invertirla resta difficile. Per due terzi le minori nascite sono dovute a ragioni strutturali: a causa dei tanti anni di denatalità oggi non ci sono abbastanza donne in età fertile per aumentare le nascite in tempi brevi. D’altra parte il contesto sociale e culturale non aiuta: anni di "storytelling" negativo e di esaltazione dell’individualismo hanno contribuito a logorare l’immagine della famiglia con figli come una prospettiva desiderabile per chi non è mosso da forti motivazioni anche spirituali. È sufficiente guardare due bei film del momento, "Figli" e "Storia di un matrimonio", per rendersi conto che l’emergenza non riguarda tanto il fatto che oggi vengono al mondo pochi bambini, ma che ovunque non nascono abbastanza genitori: la fine della famiglia è anche la crisi della capacità di essere per qualcun altro, non solo per se stessi.

Le esperienze, in Italia come all’estero, dimostrano però che azioni ampie e coerenti possono avere effetti positivi. L’idea che il ventaglio di misure del "Family Act" proposto dalla ministra per la Famiglia e le pari opportunità Elena Bonetti e l’Assegno unico previsto dalla legge delega Delrio-Lepri possano convergere in un piano per la famiglia e la natalità, come suggerito dal premier Giuseppe Conte, è un passo importante. Una misura non può escludere l’altra: tutti i Paesi che hanno ampliato i servizi per l’educazione e la cura dei bambini e per facilitare la conciliazione famiglia-lavoro prevedono infatti, di base, un assegno di 100-200 euro al mese per ogni figlio, senza limiti di reddito e senza distinzioni tra lavoratori autonomi e dipendenti. Non è un dettaglio da poco.

Allo stesso tempo andrebbe ricordato che un piano per contrastare il declino demografico in tutte le aree del Paese, non solo in quelle più ricche, avrebbe poca efficacia in un contesto caratterizzato da instabilità e insicurezza: la natalità, lo dimostrano numerose ricerche, non va d’accordo con i debiti pubblici elevati, i sistemi previdenziali insostenibili, i deficit elettorali, i bonus e le provvidenze di welfare che penalizzano le coppie sposate e con più figli rispetto ai single, i sistemi fiscali che non compensano i maggiori costi sostenuti da tutti i genitori.

Questo dovrebbe far capire che la crisi della natalità non ha solo una dimensione personale, ma pubblica. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, incontrando il Forum delle associazioni familiari, lo ha detto molto chiaramente: se il numero delle famiglie con figli diminuisce, come sta avvenendo, «è un problema che riguarda l’esistenza del nostro Paese», e per tale ragione «va assunta ogni iniziativa per contrastare questo fenomeno». Subito.

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